Emanuele Piccardo. Le utopie radicali sono finite, ma nessuno se ne accorge
Firenze dopo cinquantuno anni celebra la Superarchitettura o neo-avanguardia architettonica o architettura radicale o radical design, a seconda del curatore di mostre, simposi, libri che, di volta in volta, la chiama in modo diverso. Questa ennesima resurrezione radicale non viene ospitata nelle sale di Palazzo Strozzi, luogo dove si celebrano mostre blockbuster, ritenendo che la Superarchitettura utopica, non potendo avere quell’audience degna di un Bill Viola, debba rimanere nella sua dependance ipogea, la Strozzina. Visto l’interesse generato dal tema nel tempo mi sembra una preoccupazione inesistente. Tuttavia nelle nostre città, Firenze in testa, se da una parte c’é una rincorsa alla non sedimentazione della cultura con artisti cult, dall’altra non si riesce a superare un periodo storico consolidato, sia esso il Rinascimento o gli antichi Greci, per vivere l’età contemporanea. Quindi la domanda da porsi é: quali sono i temi che restano oggi dell’esperienza radicale? Analizzando le ricerche dei gruppi radicali, non si può affermare che abbiano prodotto un architettura in linea con la dirompente visione della città e del mercato a cavallo del decennio sessanta-settanta, come nel caso di Adolfo Natalini solo per citare il caso più eclatante. In fondo questo sentimento postmoderno ha attraversato nei modi e nei progetti molti dei protagonisti, evitando ad alcuni come UFO, 9999 e Gianni Pettena, una riduzione della esperienza fatta ad un problema di linguaggio ed aver cercato altre vie. Gli UFO la performance nel segno della semiologia di Eco per poi intraprendere carriere singole, Pettena nel campo dell’arte, i 9999 nella progettazione e gestione della discoteca Space Electronic. Siamo così sicuri, come da più parti si continua ad affermare, che Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Jean Nouvel, Renzo Piano, Bernard Tschumi abbiano citato i radicali nelle loro architetture? O forse hanno avuto la capacità di leggere un fenomeno e successivamente hanno agito in modo autonomo e indipendente? Propenderei per la seconda possibilità nonostante le dichiarazioni di intenti dei diretti interessati. La Superarchitettura diventa un movimento con figure molto diverse tra loro, indagate attraverso le ricerche svolte dalla storica dell’arte Elisabetta Trincherini che ne indaga gli archivi. Gli esiti costituiscono il palinsesto su cui si basa la mostra curata dall’architetto Pino Brugellis, dallo storico dell’arte Alberto Salvadori e dall’architetto/artista Gianni Pettena. Ciononostante si sottolinea come ci sia una visione fiorentino centrica, determinando un errore storiografico di metodo nell’escludere due radicali importanti per questo movimento: Ugo La Pietra a Milano e Pietro Derossi a Torino. Anche il contesto storico, politico e culturale é il grande assente. Contesto che é essenziale per comprendere dove nascono e con quali motivazioni le istanze radicali. Non si possono ignorare fatti storici che hanno condizionato fortemente le azioni e i progetti dei radicali: dagli happening di Kaprow alla Pop Art, fino al ruolo delle occupazioni universitarie e del pensiero politico dell’epoca. La scelta di non adottare una logica monografica di gruppi e singoli in favore di stanze tematiche é sicuramente utile ma crea frammentazione, perdendo la lettura unitaria del display. Display che, pensato in modo statico con cornici alle pareti e oggetti sulle pedane, appare in una modalità superata. Tuttavia tra le sezioni quelle più interessanti con materiali inediti sono From the lunar module, sulla conquista dell’universo, con i fotomontaggi di Alessandro Poli/Superstudio del progetto Architettura Interplanetaria (1970) e L’archeologia del futuro (1978) degli Zziggurat; Green Architecture, dove vengono mostrati la Tumbleweeds Catcher (1972), la Grass Architecture (1971), la Clay House (1972) e le Ice Houses (1971-1972)di Pettena, insieme alla Casa Orto dei 9999 (1971) e la Città delle foglie (1973) degli Zziggurat. Così si evidenzia una avanguardia dei radicali, che nei recenti usi milanesi del verde verticale viene spacciata come innovativa, dimenticando un pezzo di storia, che comprende anche i progetti dei Site e di Emilio Ambasz. Infine nelle due ultime sezioni Teaching Architecture si evidenzia il ruolo di docente di Remo Buti e in The human scale il rapporto con il corpo nel Dressing Design di Lucia e Dario Bartolini degli Archizoom, nei gioielli di Buti, Toraldo di Francia e Pettena. 5.11.17 |