Emanuele Piccardo. 1980: la prima volta del postmodern a Venezia
Nell’affrontare il Postmodern, la storica dell’architettura Léa-Catherine Szacka, nella sua recente monografia “Exhibiting the postmodern. The 1980 Venice Architecture Biennale” (Marsilio, Venezia 2016) sceglie il tema del display espositivo durante la prima biennale di architettura veneziana. La scelta dell’autrice di occuparsi della prima Biennale di Architettura del 1980, diretta da Paolo Portoghesi, si inserisce in un contesto internazionale di riflessione sulle modalità con cui l’architettura si mostra, ultimo in ordine di apparizione il libro Place and displacement: Exhibiting architecture (a cura di Thordis Arrhenius, Mari Lending, Wallis Miller, Jérémie Michael McGowan, Lars Muller Publisher 2014), risultato di una articolata ricerca dopo un simposio avvenuto nel 2013 a Oslo. Una riflessione necessaria per ripensare i display e rompere con una tradizione in cui l’architettura a ogni biennale viene rappresentata sempre allo stesso modo: fotografie, video e installazioni che imitano quelle degli artisti. Portoghesi per la prima Biennale tematica di architettura sceglie un titolo evocativo “La presenza del passato”, affermazione ancora valida nella società italiana. Se negli anni Ottanta il dibattito teorico si concentrava sul recupero dei centri storici e sulla questione della tradizione e della ricomposizione della storia dell’architettura- come evidenzia l’autrice-oggi i temi sono l’impegno civile dell’architetto nell’edizione di Aravena o la riflessione sull’architettura e i suoi “principi” nell’edizione di Koolhaas. “L’apparato curatoriale immaginato per Strada Novissima-scrive Szacka-non è focalizzato solo nella rappresentazione dell’architettura ma anche nella sua sperimentazione-una sorta di laboratorio nel quale sono ricostruite le condizioni urbane artificiosamente come risultato di una tecnica scenografica usata per mettere in contatto il pubblico con l’architettura”; il cui esito non è diverso dalle scenografie di Cinecittà. Negli anni successivi la maggioranza degli architetti invitati hanno perseverato nel diffondere il verbo del postmodern, anche quelli come Koolhaas e Gehry che hanno cercato di dissimularne l’appartenenza riuscendoci in parte. In Italia il postmodern, invece, ha influito negativamente nella costruzione delle città e delle periferie italiane; basta pensare ai complessi residenziale realizzati dai fratelli Krier e Portoghesi ad Alessandria. Se da una parte c’è stato un postmodern “colto”, dall’altra si è sviluppato un postmodern incosapevole, praticato da ignari e incolti progettisti (geometri ma anche architetti e ingegneri) che hanno costruito villette unifamigliari ed edifici pubblici senza nessun legame con i fautori di questa corrente. D’altronde il postmodern se letto come richiamo alla storia è ancora vivo e rimane la causa per una mancata evoluzione culturale della nostra società, poco aperta al contemporaneo. Se da una parte Szacka indaga il contesto politico e culturale precedente al 1980 (come la contestata Triennale del ’68 curata da De Carlo e mai aperta, fino all’Estate Romana di Renato Nicolini), contestualizzando la Biennale rispetto al centro storico lagunare, dall’altra associa la Tendenza, ideata da Aldo Rossi, con Archizoom, Superstudio e 9999 (per questi ultimi appare una forzatura non confermata dalla storia del gruppo). Ma il grande merito del libro, risultato di una ricerca approfondita, rimane aver fatto luce sulla prima biennale di architettura con uno sguardo inedito. 10.5.17 |