Vittorio Prina. Focus su Paolo Sorrentino/1

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“Settimio Valori ne fa subito un credo imprescindibile della sua futura biografia. Se vivere la propria vita è un affare increscioso, l’unica possibilità che rimane è vivere le vite altrui. Per questa ragione basica e vigliacca, si dedica al cinema”(1).

In questo articolo – che sarà pubblicato in tre parti – cerco di individuare e sintetizzare le costanti tematiche legate ai principali luoghi e architetture che il regista ha adottato nei suoi film. I film di Sorrentino sono caratterizzati da un tono non di tristezza, ma di malinconia; elemento che contraddistingue il carattere di Sorrentino stesso che ama la solitudine: “la malinconia ti pone in una sorta di amorevole distanza dalle cose”. Alcune situazioni e personaggi che potrebbero essere considerati comici sono di fatto tragici.“Io sono stato un bambino molto malinconico. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il sentimento della malinconia si sviluppa da bambini, oggi questa sottile sensazione fatico a ritrovarla”. “I miei temi prediletti sono la nostalgia, la malinconia, la frequentazione del ricordo e i giovani non sono neanche così predisposti ai ricordi”. Le immagini per Sorrentino costituiscono una ulteriore forma di scrittura, oltre alla sceneggiatura.

“Il regista cinematografico nel suo lavoro fa molte cose che sono comuni ad altri artisti, ad esempio sceglie e dirige gli attori ma questo lo fanno anche i registi di teatro, sceglie la musica ma questo lo fanno già i dee-jay, l’unica cosa che fa soltanto lui è di vedere delle immagini quando ancora non esistono, la loro sequenza, il loro ritmo […] Lo story board non mi serve per ricordarmi di fare un primo piano o un campo lungo, ma per descrivere meglio l’azione una volta che ho presente il luogo dove devo girarla […] Credo piuttosto nel potere evocativo delle immagini, che al di la del significato devono regalare un godimento estetico che appaghi lo spettatore […] L’altro momento importante è quando cerco i posti dove girerò. La visione dei luoghi mi aiuta a entrare nel film, a ‘vederlo’” (2).

Alcuni temi sono costantemente presenti nei suoi film. La sciatteria, pochezza, insulsaggine, corruzione di alcuni personaggi o di buona parte della società sono, nei film, contrastati e bilanciati da un attento studio delle inquadrature, della luce, della fotografia, della composizione generale e delle singole sequenze, della scelta di luoghi e architetture che frequentemente diventano personaggi dei film. La solitudine è un fattore nodale dei protagonisti – spesso accompagnata da un irreale distacco dalla realtà – unitamente alla scelta di raccontare vite di personaggi che dalla fama sono precipitati, o precipiteranno, nel dramma o nell’oblio. Altrettanto frequentemente i presupposti della tragedia o del declino finali del protagonista sono percepibili già nella prima parte del racconto.

I due Tony de L’uomo in più nonostante i successi si trovano improvvisamente nell’oblio e nella solitudine; Titta Di Girolamo ne Le conseguenze dell’amore vive totalmente solo nel silenzio e nelle abitudini ripetute fino all’ossessione, ormai non più avvezzo ai rapporti umani, e finirà ammazzato; Geremia ne L’amico di famiglia, tragica e patetica figura, rimane infine completamente solo; Andreotti ne Il Divo, nonostante sia attorniato da una quantità impressionante di persone, vive in un abisso di solitudine; Cheyenne in This Must Be the Place è una rock star ormai solitaria che ha abbandonato le scene da vent’anni alla deriva tra noia e depressione; i personaggi di Youth sono battelli che navigano solitari e disorientati che si trovano ad approdare nel prestigioso hotel e i due protagonisti sono personaggi famosi anziani e ormai in declino; Jep ne La Grande Bellezza è il personaggio più mondano di Roma – il re della mondanità proiettata verso lo sfacelo e la dissoluzione – ma conduce una vita di fatto estremamente distaccata, tranne qualche eccezione, da qualsiasi rapporto umano. Altre costanti sono l’acqua – piscine, fontane, il mare –, spazio di tragedia o di catarsi e gli hotel, non luoghi per eccellenza, dove spesso le vite solitarie di molti personaggi si sfiorano per un istante o si intrecciano.

L’uomo in più

“’A vita è ‘na strunzata”
(Frase di Tony Pisapia, al porto, rivolta a se stesso e ai pescatori)

Definito da Sorrentino un “film tattico” – del 2001 –, come la tattica che ossessiona il calciatore deciso a diventare allenatore, Antonio Pisapia/Andrea Renzi – applicata in realtà da un poco conosciuto allenatore di serie B – con una “strategia narrativa precisa”. Fondamentale l’idea del doppio, dell’intreccio tra le storie parallele di due perdenti, del caso che cambia le vite: due persone nate lo stesso giorno e anno; uno estroverso, l’altro chiuso e introverso. Nel momento di massimo successo nella vita sono già leggibili le tracce, i “germi” del massimo fallimento. Il film è ambientato negli anni ’80, orrendi secondo Sorrentino (concordo) e, al fine di non far apparire tutto il film orrendo trascinato dalle scenografie kitsch, il regista contrappone una fotografia eccellente. Emblematico l’appartamento del cantante Tony, del suo manager o la discoteca nella quale si reca Tony ancora osannato. Nessuno folklore partenopeo ma solo cinismo e malavita; nessun giudizio sui protagonisti e personaggi ma osservazione e restituzione attenta.

Sinossi

Antonio “Tony” Pisapia/Toni Servillo (al primo film con Sorrentino) è un cantante all’apice del successo, cinico, sprezzante, cocainomane, con donne pronte a concedersi in ogni momento; è ispirato a un insieme di cantanti quali Peppino Gagliardi, Cocciante e soprattutto Califano. Come per Fred Bongusto – nel film il rivale, solo nominato – dopo un concerto sono fondamentali un buon ristorante e donne nel camerino. Il fantasma della morte del fratello in mare, mentre entrambi stavano dando la caccia a un polipo, lo insegue per tutta la vita declinato in una sorta di sogno; immagini sovraesposte del cantante vestito di bianco con la madre in abito nero lungo una spiaggia sulla quale si affacciano alte torri residenziali bianche. Un rapporto occasionale con una minorenne – che prima si offre e poi lo denuncia – lo farà precipitare in un limbo dimenticato da tutti.

Antonio Pisapia, calciatore anch’egli all’apice della carriera, dopo aver segnato una rete spettacolare, viene contattato da alcuni compagni per truccare le partite. Integerrimo si rifiuta e durante un allenamento viene “falciato” perdendo l’uso di un ginocchio. La sua carriera è finita e la vita prosegue con l’ossessione di diventare allenatore – inventando una nuova tattica studiata al tavolo del Subbuteo, quindi completamente avulsa dalla realtà – che lo condurrà lungo una china disastrosa: perde la moglie, è allontanato da tutti, lascia anche una nuova donna e si suicida. Il personaggio è ispirato alla vita e al suicidio del calciatore Agostino Di Bartolomei. I due protagonisti si incroceranno per caso e per un attimo in un mercato del pesce. Tony, dopo il suicidio dell’omonimo, lo vendica uccidendo il presidente della squadra di calcio, racconta la sua storia in una trasmissione televisiva e finisce in carcere dove fa quello che gli riesce meglio: cucina il pesce per i compagni di cella ricevendo applausi.

I luoghi

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La maggior parte dei luoghi sono ubicati a Napoli e dintorni. Lo stadio nel quale entra Antonio calciatore, nel prologo del film, è il San Paolo di Napoli – realizzato da Carlo Cocchia e Luigi Corradi nel 1948-55 – che mostra la grande e criticata copertura dell’anello non ancora realizzata negli anni ’80. Seguono la villa del presidente della squadra di calcio, la villa di Antonio Pisapia, il campetto di calcio dove “il Molosso” allena una squadra (sotto la tangenziale vicino corso Malta, spazio ora occupato da uno svincolo), il porto di Mergellina dove passeggia Tony prima di essere arrestato. L’aeroporto dove si reca Antonio e vicino al quale si suicida è Napoli Capodichino; il ristorante che Tony vorrebbe acquistare è a Capo Miseno, Bacoli; la nuova donna di Antonio che lo attende inutilmente di fronte al traghetto in partenza si trova al Molo Beverello, di fronte al Maschio Angioino, e gli edifici sullo sfondo sono lungo il Molo San Vincenzo; Tony viene imprigionato nell’Istituto penale minorile di Nisida.

La clinica con vetrata, dove viene ricoverato Antonio, un prisma con volume semicilindrico e lunghi balconi continui affacciati verso il mare, è la Clinica Mediterranea realizzata nel 1945 da Sirio Giametta – formatosi nel razionalismo napoletano – sopra il porto di Mergellina. La piccola piazza dove Tony in disgrazia si esibisce di fronte a poche persone è a San Martino Valle Caudina, Avellino. Non a caso Sorrentino sceglie, quale sfondo alle sequenze oniriche di Tony con la madre e il fratello lungo il litorale, le torri residenziali del famigerato Villaggio Coppola Pinetamare nei pressi di Castel Volturno, in provincia di Caserta. Ho già raccontato in un articolo (3) la controversa vicenda del villaggio utilizzato da Matteo Garrone nel film L’imbalsamatore.

La storia del villaggio (“Città dell’uomo, paradiso dei fiori”) nei pressi di Castel Volturno, in provincia di Caserta, compone una vicenda iniziata negli anni ’60 che unisce scempio del paesaggio, abusivismo, connivenza politica, infiltrazioni della camorra, omertà, sequestri, processi e quant’altro a comporre uno scenario da incubo che ci lascia in eredità una situazione di incolmabile degrado.

Le conseguenze dell’amore

“La cosa peggiore che può capitare a un uomo che trascorre molto tempo da solo, è non avere immaginazione”.

(Pensiero di Titta Di Girolamo)

Il film – pluripremiato, del 2004 – racconta il mistero di un uomo. Titta Di Girolamo è un personaggio disabituato alla vita alla quale infine rinuncia; appena trova l’amore commette errori da adolescente, ha perso dimestichezza anche con l’amore. Ancora Toni Servillo interpreta magnificamente Titta, uomo solo, silenzioso, insonne e imperturbabile, separato dalla moglie, i figli non gli parlano; vive da otto anni in un albergo di Lugano, da 24 anni si inietta eroina solo il mercoledì mattina alle dieci in punto, una volta all’anno si sottopone a un lavaggio del sangue, ogni primo del mese paga la stanza al direttore dell’hotel, gioca a carte con una coppia di anziani un tempo ricchi e ora spiantati.

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Lo sviluppo del film ci porta a capire progressivamente che la sua vita monotona, grigia, ripetitiva e programmata nasconde un segreto: in realtà ricicla soldi per conto della mafia. Due volte alla settimana una donna consegna una valigia di denaro che Titta deposita in una banca. Una giovane barista, che vorrebbe parlare con Titta che non contraccambia, si fa vedere nuda mentre si veste. Titta annota in un taccuino: “Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore”. I due iniziano a frequentarsi e l’amore di Titta per la donna lo porta a smarcarsi dal rapporto con la mafia fino alla morte. La donna non si presenta a un appuntamento perché ha avuto un incidente; Titta, aggredito da due sicari che vogliono rubare la valigia con nove milioni di dollari, riesce a ucciderli e si impadronisce del bottino. Non vuole restituire i soldi alla mafia – li lascia alla coppia di anziani decaduti – che lo ucciderà in una cava, appeso a una gru e calato lentamente in un getto di cemento. L’ultimo suo pensiero è dedicato all’immagine del suo migliore amico, da giovane, che ora lavora per l’Enel seduto da solo su un traliccio isolato sulle montagne.

I luoghi

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I luoghi sono, per la maggior parte, cosiddetti non luoghi. Nonostante alcune sequenze di Titta seduto sul lungo lago di Lugano il film è ambientato nel Canton Ticino, scelto in ragione del silenzio e del distacco che trasmettono i luoghi. In realtà l’albergo dove soggiorna Titta è l’Hotel Continental a Treviso. La banca dove Titta deposita i soldi (Credit National) è in realtà la sede del Credit Suisse in piazza Indipendenza a Chiasso (architetto Sergio Grassi, 1996). La passeggiata di Titta con la ragazza si svolge nella piazza del Sole, copertura dell’autosilo, delimitata dai quattro prismi irregolari in cemento armato corrispondenti alle uscite, a Bellinzona, di Livio Vacchini (progettata nel 1981 e realizzata nel 1996-99). Il centro commerciale nel quale si reca Titta è il Fox Town Factory Stores a Mendrisio. La sala convegni in cui Titta viene condotto e interrogato dalla mafia è nell’Hotel New Europe (ora Ramada Naples), nei pressi della stazione centrale.

[Vittorio Prina]

6.2.17

Peer review EP

1/continua

(1) “Settimio Valori”, in P. Sorrentino, Gli aspetti irrilevanti, Mondadori, Milano 2016, p. 270

(2) Frasi di Sorrentino tratte da varie interviste

(3) L’Architetto.it n. 21 novembre 2014