Emanuele Piccardo. Gli attaccabrighe della Land Art
Michael Heizer Troublemakers in italiano significa attaccabrighe, filibustiere, creatore di guai, in una sola parola “testa di cazzo”. Parto dal titolo perché fin dall’inizio il documentario di James Crump, presentato alla Fondazione Prada, si pone come un documento storico che, in parte, racconta, o vuole raccontare, in 72 minuti, la storia della Land Art. Il titolo inquadra bene i personaggi di questa entusiasmante storia dei nuovi pionieri alla conquista del West. Quel West raccontato da Frederick Jackson Turner nella sua tesi American History pubblicata nel 1893. Ma anche raccontato dalla filmografia di John Ford e nell’identificazione dell’attore John Wayne nel cowboy. Infatti cosa sono Heizer, Turrell, Smithson se non la rappresentazione contemporanea dei cowboy, iconografia anche della pubblicità anni Settanta della Marlboro?La natura selvaggia, la wilderness, entra prepotentemente nella vita degli americani, così come il tema del nomadismo, ovvero lo spostarsi per necessità economica o spirituale attraverso gli Stati alla ricerca della libertà. Libertà di esprimere senza limiti e regole le proprie individualità lontano dalla metropoli nella vastità dell’environment. E’ quello che, alla fine degli anni Sessanta del Novecento, succede ai landartisti che si muovono dalle città per raggiungere il deserto del Nevada dove Heizer realizza Double Negative (1969) e City (1972–), quest’ultimo ancora in corso di realizzazione dopo quarantatré anni, recentemente è stato nominato dal Presidente Obama parco nazionale, a seguito di una petizione promossa dal LACMA. E ancora il deserto dell’Arizona, a Flagstaff, dove Turrell ha terminato la prima fase del Roden Crater(1974–) e infine nel deserto del New Mexico dove De Maria ha realizzato Lightening Field (1977). Michael Heizer, City, immagine da Google Earth Se noi analizziamo la Land Art dal lato europeo non possiamo fare meno di riflettere sul senso di certe azioni che appaiono, ad eccezione dell’opera di Smithson, formaliste e prive di quel substrato teorico necessario a dare sostanza a qualsiasi azione artistica. Differente dall’approccio di Paolo Soleri che costruisce la sua città, Arcosanti, che può essere messa in relazione con City di Heizer, nel deserto dell’Arizona, non lontano da Turrell, immaginando che solo il recupero del rapporto con la natura possa salvare l’umanità. Senza per ovvie ragioni scomodare Frank Lloyd Wright e i suoi due insediamenti nel deserto dell’Arizona, ancora una volta, come l’Ocatillo Desert Camp e Taliesin West. Per non parlare dell’aspetto economico che si evince dalle parole della gallerista Virgina Dwan, impegnata nel sostenere con un flusso consistente di denaro le opere. Possiamo dunque affermare senza possibilità di smentita che l’atteggiamento capriccioso dei landartisti nell’Europa pre e post Sessantotto ne avrebbe determinato la deflagrazione, al pari di quella rappresentata da Michelangelo Antonioni in Zabriskie Point (1970). Il documentario di Crump agisce su più registri. Da una parte ricostruisce il percorso di alcuni artisti come Dennis Oppenheim, Robert Smithson, Michael Heizer, Charles Ross, attraverso materiali di repertorio tra i quali il film girato da Smithson in 16mm sulla Spiral Jetty (1970), le interviste agli artisti scomparsi De Maria, Smithson, Sharp, Oppenheim, Holt. Dall’altra definisce una serie di personaggi, tra cui le galleriste Virginia Dwan e Paula Cooper, il fotografo degli artisti Gianfranco Gorgoni, un giovane Harald Szeemann e artisti che hanno condiviso le stesse esperienze come Carl Andre e Lawrence Wiener. Tutto poi viene ricondotto alle due figure centrali del documentario: Germano Celant e Michael Heizer. Celant,genovese, formatosi con Eugenio Battisti grande intellettuale direttore di Marcatre e fondatore del Museo d’Arte Sperimentale, cresciuto nel contesto culturale della Genova anni Sessanta, traccia il filo storico della Land Art con alcune forzature critiche come l’analogia tra l’opera di De Chirico e Heizer. Quest’ultimo nel suo delirio di onnipotenza afferma che la sua opera è destinata a rimanere per 500 anni. 10.10.15 |