Caterina Iaquinta. Intervista a Piero Gilardi
Piero Gilardi, O.G.M. Free, 2014, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (Torino) Animazioni di protesta e pratiche attive: la “vegetazione come agente politico” nell’opera di Piero Gilardi. Tre figure con le fattezze di giganti pannocchie incedono minacciose impugnando uno striscione che riporta lo slogan “O.G.M. FREE!”: è il progetto per un’animazione contro le multinazionali agroalimentari in difesa delle piantagioni di mais che Piero Gilardi ha presentato recentemente al PAV di Torino in occasione della mostra Vegetation as Political Agent1 curata da Marco Scotini. La mostra, che indaga tra storia e attualità le implicazioni sociali della vita delle piante come agenti di cambiamento dei processi economici, sottolinea come l’attribuzione di un tempo storico alla vegetazione, permetta di analizzare oltre le caratteristiche biologiche le implicazioni sociali e politiche delle piante come sistemi al centro dei primi processi di globalizzazione economica. La sezione storica e documentale della mostra nasce dalla collaborazione con l’Orto Botanico di Torino e consiste nell’installazione di una piccola serra con le specie pedemontane protette e l’esposizione di alcune tavole di Carlo Ludovico Allioni che illustrano le possibili narrazioni del mondo vegetale sul piano normativo e conservativo. Sono poi osservati i rapporti tra agricoltura e movimenti popolari (Filipa César, Amilcar Cabral, Nomeda e Gediminas Urbonas, Emory Douglas, Adelita Husni-Bey), il modello di riciclaggio dei rifiuti (Fernando García-Dory), le rivendicazioni della soggettività creativa attraverso pratiche di ortocoltura (Ayreen Anastas & Rene Gabri, Claire Pentecost, Marjetica Potrč, Daniel Halter, Imre Bukta, Bonnie Ora Sherk). Mentre negli spazi esterni del PAV sono collocate due installazioni ambientali: un’architettura di tipo vernacolare che diventa un rifugio vegetale (RozO) e un piccolo appezzamento per il procedimento chimico di diserbo invasivo che distrugge la biodiversità (Critical Art Ensemble). Infine le forme di espressione e immaginari collettivi sui temi della “rivoluzione verde” sono presentate nelle maschere e nei costumi di O.G.M. Free (2104, poliuretano espanso dipinto e striscione) disegnati da Piero Gilardi e indossati nelle animazioni contro l’impiego di OGM nelle coltivazioni di mais. Affermandosi con un percorso paradigmatico nelle vicende artistiche italiane, segnate durante gli anni Settanta dalle implicazioni tra impegno politico, produzione culturale, Piero Gilardi ha costruito la sua pratica artistica intrecciando militanza e impegno sociale a un linguaggio che fin dalla fine degli anni Sessanta rifiutava il compromesso di operare in un sistema gestito da gallerie, collezionismo e sponsor privati, e si orientava su un “lavoro creativo sviluppato collettivamente in un rapporto dialettico con le masse nei luoghi e nei momenti di lotta”2. Presenza e intervento nei movimenti autonomi e antagonisti in Italia, lavoro sociale nelle “comunità periferiche”, anti-psichiatria, pedagogia e lavoro antropologico nelle comunità sud- americane, africane e indiane negli Ottanta e oltre, si risolvono nel lavoro di Gilardi in animazioni, performance collettive, azioni di teatro politico, in cui gli apparati coreografici diventano supporto espressivo attraverso cui manifestare e attribuire voce alle nuove soggettività in formazione. A ridosso della seconda metà degli anni Settanta, durante il periodo del “movimento della cultura di base”, Gilardi sperimenta le sue prime animazioni insieme al collettivo La Comune, con intenti di distribuzione, propaganda politica, controinformazione o realizzazione di murales prima (dal 1974 fino alle elezioni del 1976)3 e in seguito con interventi di teatro di strada, carri, animazioni nei cortei (dal 1976 fino allo scioglimento nel 1979), che Gilardi, definisce “teatro dei mascheroni”, ovvero irruzioni improvvise ed estemporanee durante comizi e assemblee di piazza con brevi performance di maschere e costumi che rappresentavano caricature di capi politici. Quella fase di “rifiuto” da modelli precostituiti e imposti rivendicata nella contestazione politica, sul piano culturale si estendeva così anche alla produzione artistica e nel superare l’isolato “gesto dell’artista”, assumeva una dimensione performativa che contribuiva a ridefinire il significato stesso delle arti visive come “pratica sociale concreta”, in cui la presenza del corpo (dell’individuo) si offriva negli eventi reali come paradigma per l’azione sociale. Animazione, Torino 1° maggio, 1976, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (Torino) Successivamente, con gli anni Ottanta, Gilardi trova nelle culture non occidentali, altre “comunità periferiche”, lo spazio in cui sperimentare l’azione pedagogica e antropologica, attraverso la formula del workshop, in performance teatrali collettive in cui la metodologia comune si basava sulla partecipazione e il coinvolgimento di tutta la comunità: dalla costruzione del tema di lavoro, basato su incontri preliminari di “autocoscienza” in cui momenti traumatici della storia popolare si fondevano alle immagini archetipiche del rito lasciando spazio ad una libera reinterpretazione, alla scelta della formula teatrale e alla costruzione della scena e dei costumi con materiali auto-prodotti per un’ “azione artistica corale” di cui Gilardi e il suo team divenivano co-protagonisti. Workshop Historia de Rodolfo Rodriguez, Managua 1982, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (Torino) Samburu Ground, Barsaloy, 1985, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (Torino) The story of Rodolfo Rodriguez, realizzato presso il quartiere San Judas a Managua (Nicaragua) nel 1982, Stop Pollution!, presso la Riserva Mohawak (Akwesasne, NY) nel 1983 e Samburu Ground, presso Barsaloy (Kenya) nel 1985 hanno affrontato temi come la perdita di un membro della comunità durante l’occupazione di una scuola, l’inquinamento ambientale provocato dai rifiuti tossici emessi dalle industrie, l’esperienza traumatica dei riti di iniziazione. Il messaggio culturale che emergeva dall’azione presso la riserva Mohawk (Stop Pollution!) toccava la questione ambientale e si poneva proprio in quegli anni come una concreta risposta alle ansie provocate dalle società post-industriali, diventando esempio per sviluppare nuove relazioni in grado di mettere in contatto gli uomini e il mondo naturale. Come lo stesso Gilardi affermava a proposito di Stop Pollution!, nel 1985: “Il paradossale intento [del popolo indiano] di costruire il futuro recuperando la tradizione ci è sembrato una ricerca di identità non fine a se stessa ma finalizzata a vivere le relazioni umane e il rapporto con la natura in modo armonico ed evolutivo, dunque un tentativo di risposta alle ansie della società post industriale.” Workshop Stop Pollution!, Riserva Mohawak , 1984, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (Torino) Così la fondazione del Parco d’Arte Vivente nel 2008, ma anche con l’impegno costante dimostrato da Gilardi accanto al movimento NO TAV4 dagli anni Novanta ad oggi, confermano i principi di un’ecologia costantemente praticata come presupposto imprescindibile attraverso un’attività di ricerca basata sulla bio-estetica e con attenzione alle bio-scienze e alle bio-tecnologie come forme di resistenza contro gli sviluppi delle multinazionali dell’ingegneria genetica nell’esercizio del controllo sulla crescita delle piante e nello sfruttamento verso le popolazioni agricole e di consapevolezza nella prospettiva di riparare e ripristinare la biodiversità. Un progetto e una politica culturale che rispondono insieme alla vocazione ecosofica del progetto Vegetation as Political Agent ad una funzione sociale e politica di un ambito presunto spontaneo, non evolutivo e immemorabile come quello naturale. Caterina Iaquinta: Ogm Free (2014) è l’opera che apre la mostra Vegetation as Political Agent a cura di Marco Scotini, in quest’opera tornano due elementi fondamentali del suo percorso artistico: l’attenzione alle biotecnologie e all’ecologia, e il “teatro dei mascheroni”, una pratica che ha sviluppato a partire dalla metà degli anni Settanta per fornire risposte immediate e radicali in stretta relazione con le occasioni di protesta sociale in Italia nel periodo della contestazione. In questo caso satira, ironia e caricatura assumono un ruolo centrale come rovesciamento degli ordini e dei modelli costituiti per l’affermazione di nuove possibili attribuzioni sociali. Possiamo definire quest’attività una forma di “creatività collettiva”? Come si giunge ad un’ “azione corale” a partire da istanze di attivismo politico? Piero Gilardi: La mia attività di animatore politico rientra certamente nel novero di quel fenomeno culturale, di respiro antropologico, che definiamo “Creatività collettiva”. Su questo fenomeno ha argomentato molto il filosofo James Hillman, sotto l’egida della definizione di “Arte plurale”. Se l’arte può essere considerata una modalità per far emergere attraverso l’espressione estetica i bisogni profondi e innovativi che emergono nell’inconscio Collettivo, l’animazione politica ha in più un elemento politico, cioè la condivisione di un progetto di lotta politica condiviso e praticato sulla scena sociale. L’animazione politica, nata dal ’68, supera lo storico agit-prop perché non è semplicemente lo strumento comunicativo di obiettivi politici precostituiti, ma incarna il costituirsi stesso della soggettività politica collettiva negli atti espressivi come il teatro di strada partecipato. CI: Nell’estate del 1983, presso la riserva indiana Mohawk di Akwesasne nel Nord America, nelle vicinanze del lago Ontario, con i ragazzi della Freedom School ha realizzato un workshop teatrale, Stop Pollution!, un’animazione sul tema dell’inquinamento ambientale in cui possiamo distinguere la medesima formula usata nel teatro d’animazione politico che ha definito nella sequenza “gioco-rito-gioco”. In che modo è possibile definire queste pratiche spontanee “politicamente affermative”? In particolare in un’operazione come Stop Pollution! che tipo di scambio si è attivato con la comunità irochese? PG: Certamente anche nell’esperienza del ciclo di animazione Stop pollution! presso la Freedom Akwesasne School il nostro gruppo ha utilizzato lo schema drammaturgico di gioco-rito-gioco. La funzione politica di questa esperienza si è esplicitata da una parte nel rafforzare la consapevolezza politica dei partecipanti rispetto all’inquinamento della riserva Mohawk e del suo territorio e dall’altra di indurre la presa di coscienza degli altri abitanti irochesi della riserva, passivi e indifferenti. CI: Quando nel 2008 a Torino ha concepito il Parco di Arte Vivente (PAV), sviluppando i suoi spazi con l’architetto paesaggista Paolo Cosmacini, la sua idea di natura e tecnologia si sono fuse rielaborando al loro interno tutte le declinazioni dell’arte in rapporto all’ecologia, assegnando importanza al paesaggio ma soprattutto portando ad un’estrema concretezza il presupposto “arte-vita”. In una fase in cui spesso anche le posizioni o i termini più radicali sembrano essere sottoposte a un processo di inclusione all’interno dei sistemi delle egemonie economico-culturali, come, in una realtà come il PAV, riesce a proseguire questo percorso di ricongiunzione “arte-vita”? Il PAV rappresenta una possibilità politica e culturale? PG: Giustamente tu sottolinei che oggi “anche le posizioni e i termini più radicali sembrano essere sottoposte a un processo di inclusione all’interno dei sistemi delle egemonie economico-culturali”, e come sottolinea Marco Scotini oggi l’Ecologia è diventata una articolazione del capitalismo neoliberista. La metodologia che si pratica al PAV supera questo rischio perché: primo il pubblico viene coinvolto nell’agire in “prima persona” (questa è la biopolitica buona) secondo perché le esperienze si sviluppano in un contesto collettivo e comunitario; terzo perché le esperienze sono fondate su processi cognitivi rigorosi e sui parametri filosofici dell’Etica ambientale. 16.8.14 (1) La mostra è visitabile fino al 2 novembre 2014. Per info www.parcoartevivente.it (2) L. Vergine, Attraverso l’arte. Pratica Politica/pagare il ’68, Arcana Editoriale, Roma, 1976, p.142. (3) “In seguito furono realizzati in modo più estemporaneo, cogliendo direttamente gli spunti di contenuto e di linguaggio delle masse e coinvolgendo la gente nel lavoro di esecuzione pratica, ad esempio lavorando ai murales insieme agli occupati di una casa o di una fabbrica mentre era in corso una festa popolare.”P. Gilardi, L’esperienza nel collettivo La Comune, in P. Gilardi, Dall’arte alla vita, dalla vita all’arte, La Salamandra, Milano 1981, p.17. (4) Piero Gilardi circa da un decennio è coinvolto nella lotta del popolo NO TAV nella Val di Susa, dall’occupazione del cantiere di Venaus al presidio della Maddalena, fino all’attuale fase di boicottaggio del cantiere di Chiomonte.
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