Vittorio Prina. Pavia, due o tre cose che so di lei

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La città di Pavia può essere considerata una realtà urbana di medie dimensioni nella quale il ruolo nodale attribuito al centro storico, nonostante consistenti problemi, è stato fondamentale. La città è stata peraltro affetta da squilibri dovuti alla mancanza di un nuovo Piano Regolatore per un lungo periodo – dopo quello di Campos Venuti degli anni ‘70 – prima di quello di Gregotti, con molti incarichi e tentativi abortiti, e dell’attuale controverso PGT.

Il blocco dell’edificazione nel territorio comunale a determinato uno sviluppo anomalo – residenziale, artigianale e terziario – dei comuni limitrofi e a corona (oltre che in direzione sud verso Voghera, lungo la statale) sviluppati a dismisura; di fatto un’espansione della città (ma con regole diverse di caso in caso e prezzi sempre più alti), con centri commerciali posti all’estrema periferia o nei comuni limitrofi, un continuum commerciale e artigianale lungo gli assi principali nord e sud, oltre a comuni sviluppati in ragione della vicinanza con il raccordo all’autostrada MI-GE e a Milano stessa, a conformare una città-periferia continua che si estende a dismisura oltre i confini comunali.

L’unico sviluppo urbano enorme e sproporzionato entro i confini è stato a est (con motivazioni dettate unicamente da ragioni legate a proprietà di terreni, ecc.); ora l’edificazione si sta sviluppando anche a ovest attorno alla zona Cravino-Università in maniera incontrollata (nel senso di apparente casualità informe). Il successivo passo è costituito dalla saturazione residenziale all’interno dei confini. Dopo l’enorme bolla speculativa grandi quantità di invenduto residenziale e attività commerciali e produttive che “aprono e chiudono” in brevi lassi di tempo, definiscono una fotografia che è lo specchio di una crisi economica endemica e di una programmazione urbanistica assente/errata. Riassumendo brevemente: il nuovo Piano Regolatore Generale redatto da Astengo e Campos Venuti, meritorio per molte ragioni – prima tra tutte la “politica” di recupero del centro storico – adottato nel 1976 e in vigore nel 1978, individua le principali aree di sviluppo residenziale nel territorio a est della città.

La cultura urbanistica dell’epoca appare purtroppo carente proprio in relazione alle prescrizioni relative alla forma urbana soprattutto delle periferie, demandata a successivi e insufficienti strumenti. Lo sviluppo della periferia di Pavia, che è stato condotto per lungo tempo secondo modalità frammentarie, viene realizzato con piani esecutivi: dal 1974 in poi viene completato il PEEP del 1964 con interventi al Cassinetto, al Cravino e alla Cascina Scala; il nuovo PEEP del 1979 comprende gli interventi al Rocchino del 1980, alla Cascina Pelizza del 1981, e soprattutto al Vallone del 1985; sviluppo per la maggior parte, a esclusione di rare eccezioni, condizionato purtroppo da dubbie indicazioni politico-economiche e dai limiti citati, caratterizzato frequentemente dall’assenza di forma urbana, di un disegno unitario, di un modello urbano di riferimento.

Elementi che determinano una situazione complessiva definita da un debole accostamento di parti disomogenee, risultato di un’applicazione pedissequa di proposte dettate unicamente da soluzioni funzionali a problemi relativi alla viabilità veicolare.
Alcuni errori che in parte hanno determinato uno sviluppo informe di molta periferia pavese, vanno cercati nel passato ed è opportuno citare forse il più emblematico.

Mi riferisco al quartiere progettato da Alvar Aalto nel 1966. Un progetto redatto come proposta di variante al Piano Regolatore Generale dell’epoca, e commissionato ad Alvar Aalto (con Elissa Aalto e Leonardo Mosso). Il quartiere, denominato “Patrizia” – 1.120.715 metri cubi previsti, infrastrutture escluse per un’area di 970.000 metri quadri – pensato per insediare 11.000 abitanti, é compreso tra i progetti italiani redatti da Aalto e mai realizzati. Il progetto é in varie forme osteggiato da più parti, sia dal punto di vista politico che sostanziale di metodo progettuale, spesso con inconsistenti e offensive motivazioni.
In seguito il progetto è escluso dal nuovo Piano Regolatore e accantonato.
Al progetto, e al confronto con i principali quartieri residenziali progettati o realizzati da Aalto, ho dedicato un libro al quale rimando per chi volesse approfondire (1).

Nel 2004 la pubblicazione di diversi saggi dedicati ai caratteri della metropoli odierna e un dibattito che prosegue sulle pagine dei principali quotidiani, delineano un quadro inquietante: Vittorio Gregotti scrive “dell’aggregato-disperso urbano” e afferma che “un mondo molteplice, mobile, senza limite non è il mondo della libertà ma solo dell’assenza di progetto”(2). Massimo Cacciari afferma che “questa espansione si fa sempre più occasionale, sempre meno programmata e governabile (…) esistono ancora attività che possiamo definire ‘centrali’, e che orientano attorno a sé le forme di connessione, la mobilità, ecc. Ma sempre più queste polarità possono organizzarsi ovunque (…) i ruoli di centro e di periferia possono scambiarsi incessantemente. Ma tutto ciò avviene occasionalmente, o sulla base di logiche mercantili o speculative (…) al di fuori di ogni progetto complessivo” (3). Con le dovute proporzioni, anche una piccola realtà quale è Pavia, ove il ruolo nodale svolto dal centro storico, nonostante molti problemi, apparentemente “ha tenuto” per un lungo periodo, è ora affetta da squilibri causati dai motivi sopra accennati.

Attualmente nel centro storico, ad esempio, le sale cinematografiche sono scomparse, le attività commerciali mutano a velocità ineguagliabile, i parcheggi insufficienti.

Il Cravino

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La periferia ovest/nord-ovest – a ridosso della tangenziale ovest – è stata inizialmente caratterizzata dall’insediamento universitario in località Cravino: di fatto il piano De Carlo è stato disatteso sin dall’inizio della sua attuazione. I volumi a struttura metallica dei dipartimenti non sono mai stati collegati dai percorsi pedonali in quota e sono stati realizzati nel tempo con modalità difformi dal progetto originario. Sono stati successivamente aggiunti ulteriori volumi dalle forme più svariate componendo una morfologia confusa: “dischi volanti”, laboratori in forma di squallidi capannoni, i blocchi in linea con oculi in testata e falde in metallo azzurro – pseudo citazione aldorossiana – delle residenze studentesche, i volumi di un centro sportivo con piscina simili a capanni artigianali variamente accostati e altro ancora.

Poco distante sono sorti i consistenti monolitici/scomposti (quasi un ossimoro) volumi di alcune cliniche private. All’altezza del raccordo con il casello autostradale di Bereguardo della Milano-Genova, si possono osservare i margini di una periferia ancora in costruzione e in continuo sviluppo nonostante la crisi economica e l’enorme quantità di edifici residenziali realizzati e ancora invenduti: un campionario di tipologie sparse casualmente nel territorio: alti edifici in linea, enormi blocchi a corte, cascine “rifatte”, case a schiera, ville, biville, villette, villini, … All’orizzonte si staglia una insensata enorme torre – con pseduo citazioni bottiane – che spunta a nord dall’area del Policlinico e il profilo della città storica raggruppata attorno alla cupola del Duomo. Recentemente proprio nel nuovo quartiere in fase di espansione una via è stata dedicata ad Alvar Aalto, una seconda a Giancarlo De Carlo: il danno e la beffa…

Verso sud

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L’asse nord-sud è un coacervo di funzioni commerciali, artigianali e terziarie varie sparse lungo il nastro viario casualmente e apparentemente senza logica (morfologica) e costituita dalle più improbabili forme e volumetrie.

Lungo l’asse sud – statale dei Giovi –, appena superato l’innesto del Borgo Ticino, inizia una periferia senza interruzioni in tangenza ai comuni, e frazioni varie, di San Martino Siccomario, Cava Manara, Tre Re, Mezzana Corti, che ricorda a scala ridotta qualche strada di Las Vegas; si prosegue verso l’Oltrepò in direzione dell’enorme centro commerciale Iper Montebello a Montebello della Battaglia (attività commerciali di ogni tipo, cinema multisala, fast food e altri contenitori a profusione).

L’asse è costituito da una teoria frammentaria, segnata da relativi cartelloni e scritte pubblicitarie, di: distributori di benzina, bar, ristoranti, zona di concessionarie autovetture e moto, zona di vendita commerciale all’ingrosso, qualche frammento di residenza, capannoni di officine varie e attività artigianali, piccoli centri commerciali, …

Ogni edificio ha caratteristiche proprie che non colloquiano né con gli edifici limitrofi né con il contesto: preferibilmente “futuribili” per le concessionarie di automobili, scatoloni colorati per i piccoli centri commerciali, episodi appena realizzati definiti da cilindri con “cappellino” sommati ad accrocchi vari con tettucci a falde in lamiera colorata e altro, isolati capannoni prefabbricati per officine, artigiani e uffici.

É costantemente replicato il medesimo sistema costruttivo: pilastri a vista e tamponamenti in pannelli smunti in graniglia colorata; una grande estensione delle citate scatole ospitava la sede di una nota società di produzione delle stesse – ora chiusa e abbandonata – non ultimata e con serie di pilastri infiniti a definire uno scheletro inquietante.

I capannoni abbandonati a causa della crisi economica non sono riutilizzati e adattati da chi apre nuove attività: chi inizia – accade ormai ovunque – costruisce un nuovo scatolone che sarà in seguito chiuso e abbandonato, infestando quantità di territorio incresciose.

Nella zona attorno alla grande rotatoria che segna il termine della tangenziale ovest e l’innesto con la statale, si sono insediati un vasto centro commerciale con caratteri stilistici postmoderni, cupola e “vie interne”, un garden center a imitazione di una grande serra, un multisala e altri scatoloni contenenti noti brand commerciali; a ridosso, in posizioni improbabili, consistenti insediamenti residenziali in gran parte invenduti.

La continuità dei citati volumi lungo la statale e costituita unicamente da spazi marginali privi di significato o da ampi parcheggi.

Verso nord

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A nord, lungo la via Vigentina, la sequenza sopra descritta si ripete sino alla grande sede Carrefour (parcheggi, svincoli e rotatorie a pioggia) e prosegue sino al comune di San Genesio il cui sviluppo residenziale ipertrofico e i prezzi fuori mercato sono stati causati dai citati problemi urbanistici pavesi e dalla vicinanza a Milano.

Un abitante di Milano impiega meno tempo a recarsi alla sede di lavoro abitando a nord di Pavia piuttosto che nella periferia milanese: una lussuosa villa con giardino gli costa un prezzo incredibilmente inferiore a qualsiasi appartamento a Milano. Questo ha determinato l’edificazione di vasti quartieri di ville o villette a schiera “esclusivi” sparsi nella campagna sia a nord che a ovest di Pavia e soprattutto in paesi e frazioni vicine al raccordo e al casello dell’autostrada Milano-Genova (Torre d’Isola, Casottole, Trivolzio, Bereguardo, ecc.). Sempre a nord, lungo la statale, niente di nuovo: un primo tratto dedicato a concessionarie, ristoranti, autolavaggi, attività commerciali varie; si prosegue con aree industriali/artigianali frammentate sino a Borgarello, comune definito unicamente da una macchia di ville e case a schiera.

Verso est

est-1 La relativa dignità del quartiere Vallone vecchio è stata compromessa dall’enorme espansione che ha saturato il territorio con residenze di ogni tipologia, forma, volumetria, morfologia. Come ho già scritto prevale la rete viaria (con relative rotatorie) alla quale la residenza si è adattata: villette a schiera variamente orientate – parallele, a ventaglio, ruotate, … – , edifici in linea a delimitare tratti di strade o corti/piazze/slarghi con portici, perennemente deserte.

L’adozione del laterizio a vista, tetti in coppi, qualche capriata lignea, assemblaggi volumetrici variamente “mossi” replicano lo stile mimetico finto rurale imperante improntato sullo scarso impegno delle imprese esecutrici e sul motto “non infastidisce più di tanto, quindi crea meno problemi, quindi va bene…”.

La fascia a raggiera si estende sino a collegarsi con i citati insediamenti lungo la via Vigentina. A est prosegue lungo viale Lodi sino a una zona industriale occupata da una grande e famosa sede industriale e da altre attività; il risultato è una serie di scatole e piastroni liberamente sparsi nel territorio secondo una pseudo maglia ortogonale. Più a nord lungo la strada Paiola incontriamo Cura Carpignano con ipertrofici insediamenti residenziali interrotti dalla frazione Prado interamente dedicata a insediamenti artigianali, semi industriali, uffici e quant’altro. La definizione delle grandi aree industriali dismesse – Neca, Snia, Necchi e altre – è ancora ferma al palo; il problema dei parcheggi è tuttora irrisolto.

Pavia, la sua periferia e i comuni a corona costituiscono ormai un’unica grande città, un’enorme periferia sorta progressivamente e priva di un disegno unitario; mancanza dettata dall’assenza di decisioni relative alla definizione di un piano complessivo e alla presenza di una enorme bolla speculativa edilizia in epoca pre-crisi economica, ora definitivamente esplosa.

Ho sempre pensato che le periferie non sono “brutte” a priori, anzi contengono potenzialità inascoltate che, se opportunamente sviluppate con una intelligente opera di stratificazione, offrirebbero risultati inaspettati.

D’altro canto nessuna forza politica o economica ha intenzione di “spendere” per inoltrarsi in questa direzione; e la periferia continua a proseguire fuori rotta.

[Vittorio Prina]

1.6.14

(1) V. Prina, Alvar Aalto. Progetto di complesso residenziale a Pavia. “Onde anomale” lungo il fiume: spazio, architettura, territorio e innovazione, Gangemi, Roma 2011

(2) V. Gregotti, “Se la periferia diventa centro”, in: “La Repubblica”, 27 marzo 2004, p.40

(3) M. Cacciari, “Quando la città non ha più confini”, in: “La Repubblica”, 23 marzo 2004, p.40