Emanuele Piccardo. MAXXI, si può fare di più e meglio

maxxi

“Vogliamo costruire un MAXXI interessante per tutti; accogliente per i piccoli, i ragazzi e le famiglie, stimolante per gli amanti dell’arte, dell’architettura, del design, attraente (fico!) per i giovani, imperdibile per un pubblico internazionale”.

(Giovanna Melandri, La nostra visione, Introduzione al rapporto annuale 2013)

Ecco come si sente, “fico”, il museo progettato da Zaha Hadid nel quartiere romano del Flaminio, dalle parole della presidente Giovanna Melandri. Museo che viene visitato dal 32% dei romani e dal 28% di italiani, per un totale pari al 60% contro un 30% di europei e un misero 10% di extraeuropei che il MAXXI non riesce a intercettare. I dati parlano chiaro, è un museo locale che, nonostante le autocelebrazioni di curatori, direttori e consiglio di amministrazione, non riesce ad essere attrattivo se paragonato con il vicino auditorium, che però ha totalizzato nel 2013 un milione di visitatori tra concerti e festival ecc..sicuramente un esempio di ottima gestione culturale.

Il 22 gennaio 2014 è stato presentato il bilancio del Museo che non entusiasma se paragonato al report del primo anno di attività, il 2010, dove il MAXXI ha avuto 476.400 visitatori contro i 294.000 odierni. Inspiegabile il picco di visitatori in agosto pari a 13.000, a dimostrazione del forte legame con i romani la cui assenza per le vacanze si fa sentire, se confrontati con i 32.000 di settembre-ottobre. Se si analizzano in profondità i dati, i grandi assenti sono gli over60 con il 17% e i giovani under30 con il 36%, percentuale quest’ultima che dovrebbe essere almeno pari al 50%, in quanto un museo deve formare proprio i cittadini del futuro. Anche i numeri in rete sono bassi, solo 651 iscritti sul canale youtube e 71.000 su Facebook contro i 372.000 del Pompidou.

Alcuni mi obietteranno che la crisi ha determinato minori spese dei cittadini per la cultura e in parte, essendo uno stato in cui non si investe in cultura, a partire dalle famiglie perchè non percepita come necessaria, può apparire ad una visione superficiale una obiezione realistica. Ma a differenza dei grandi musei, come MoMa,Pompidou o il poco noto Hammer Museum, il Maxxi non riesce ad attrarre perchè non ha un programma pluriennale tematico che tenga insieme le due anime, l’arte e l’architettura, ma soprattutto dialoga con la realtà e le problematiche che attraversano la società contemporanea. Un esempio paradigmatico è la mostra Erasmus Effect, in ritardo di un ventennio rispetto al fenomeno di emigrazione degli studenti in giro per il mondo a ricercare quella fortuna che il paese natio gli ha negato. Negazione attuata anche da coloro che oggi postulano, proprio dallo scranno del MAXXI, un’idea stantia e poco innovativa di curatela di mostre di architettura sempre più misere nel display espositivo e nei contenuti.Si dimentica che il Maxxi, oggi più di ieri, è uno spazio culturale pubblico, non solo perchè lo Stato, cioè tutti noi, contribuisce al 60% del budget con 5 milioni di euro annui, ma perché spazio di utilità pubblica ovvero per i cittadini. Nel 2012 ho visitato la mostra “Foreclosing: rehousing the american dream”, curata da Barry Bergdoll al MoMa, una ricerca di un gruppo multidisciplinare di architetti e urban planner, che hanno ripensato il sogno americano post crisi mercato immobiliare. Una mostra che era leggibile sia da un pubblico di addetti ai lavori, sia da un pubblico generalista, ma fortemente ancorato a una problematica sociale con l’architetto attore del cambiamento. In Italia una mostra così strutturata sarebbe stata infarcita di dati del Cresme, di mappe cognitive e di timeline dove i progetti degli architetti sarebbero stati selezionati tra quelli già eseguiti.

Al MoMa gli architetti  invitati hanno elaborato le loro strategie progettuali in diverse aree dell’America che più di ogni altre erano state colpite dalla crisi. Questo dimostra una precisa volontà politica nell’affermare la centralità dell’architetto nel ripensare i territori che, nel nostro Paese, è assente e che un Museo come il MAXXI dovrebbe, con determinazione, attuare. Recentemente una giovane storica dell’architettura Léa Catherine Szacka, ha organizzato al Pompidou il simposio “Exposer l’architecture”.Si sono confrontati differenti progetti curatoriali con la partecipazione dei più importanti curatori di mostre di architetture e musei tra cui Bergdoll, Jean Louis Cohen, Marie Ange Brayer (direttore FRAC Orleans), Mirko Zardini (direttore del CCA), Felicity Scott (direttrice del master Critical, Curatorial and Conceptual Practices in Architecture alla Columbia University). Nessuna istituzione italiana era presente proprio perché il MAXXI, che agisce in regime di monopolio come unico museo di architettura contemporanea, non ha credibilità. La credibilità si ottiene attraverso un progetto culturale coerente, pur nella frammentazione delle singole iniziative che devono essere percepite come parte di un insieme. La ragione va ricercata nell’assenza di un progetto di ricerca sull’architettura e sull’arte, in modo che il museo diventi un centro propulsore di idee e sperimentazioni, uscendo da una visione romanocentrica, dimostrando di essere realmente un museo dell’architettura italiana, collezionando non solo Anselmi, De Feo, Musmeci, Nervi, Fiorentino, ma investendo anche su architetti meno noti ma non meno interessanti, come Leonardo Savioli, Leonardo Ricci, Vittorio Giorgini, Mario Galvagni, Asnago e Vender, Caccia Dominioni, Luigi Carlo Daneri, il movimento dell’architettura radicale (rappresentato parzialmente da Superstudio) e molti altri.

Certo bisognerebbe imitare il Pompidou che, sotto la guida di Migayrou, ha acquistato gran parte dei lavori dell’architettura radicale italiana e internazionale, quando nessuno la considerava. Gli strumenti per mappare il territorio italiano sono gia’ esistenti, basta pensare alla schedatura, divisa per regioni, delle architetture del secondo Novecento attuata dal Ministero dei Beni Culturali, ma occorre investire economicamente ed in risorse umane competenti. Il MAXXI dovrebbe essere il luogo ideale per gli architetti e gli artisti dove potersi confrontare e dibattere, ma anche dove poter donare libri, fotografie e disegni. Non accade per una gestione sbagliata e presuntuosa, senza accettare con umilta’ crtiche e osservazioni ma conducendo alla deriva culturale il Museo. Sicuri che nessuno si scagliera’ mai contro, in primis gli architetti e i critici, sempre supini al potere per non dover rinunciare, forse in futuro, a esporre il proprio lavoro.

Hanru: uno sguardo nuovo sulle collezioni

Hou Hanru, bravo curatore d’arte contemporanea, militante, nominato direttore del museo, ha riorganizzato le collezioni attraverso la mostra “Non basta ricordare”. “[…] Attivare un processo vivo -scrive Hanru- in cui la memoria della storia venga continuamente ricostruita, al fine di dare all’opera una nuova vitalità, per continuare a produrre significati che ispirino in noi la comprensione del presente […]”. Ha costruito un palinsesto che ricolloca tematicamente l’eclettismo di una collezione ancora debole, solo 350 le opere di arte contemporanea a fronte dei 110mila documenti tra disegni, fotografie, modelli, della collezione di architettura. Un ruolo centrale è stato affidato al tema dello spazio, affrontato sia dagli architetti che dagli artisti. Divisa in parti e temi come “la città e lo spazio pubblico” con le cartoline postali, composte a formare un atlante, dell’artista Yona Friedman, e ancora i quadri di Ed Ruscha e Gerard Richter. Particolarmente interessate, dato l’approccio di Hanru, evidenziato anche nella Biennale di Venezia nel 2003, “Politica, realtà, idee e ideologie” nel quale spicca il Corviale di Fiorentino rappresentato da un plastico in marmo in alto rilievo, insieme all’Osservatorio Nomande degli Stalker.

Mentre nel video di Carsten Nicolai sulla Cité Radieuse di Le Corbusier, l’incedere lento della videocamera immerge lo spettatore nella comunità corbuseriana con efficacia. E’ ancora lo spazio protagonista nella Cappella Pasolini che Adrian Paci allestisce con tavole di legno di recupero, al cui interno affigge disegni delle scene del Vangelo Secondo Matteo, di cui quest’anno ricorre l’anniversario dei cinquant’anni dalla sua realizzazione avvenuta nel 1964. L’attenzione per l’aspetto politico e’ rimarcato anche dal video di Grazia Toderi che esplora in Super Tuesday lo spazio del Madison Square Garden ripreso dall’alto durante la commemorazione dell’11 settembre, evoca scenari cosmici attraverso la lentezza e la circolarita del video. Francis Alys, invece, ricrea una sorta di letto fatto con coperte da clochard e proietta immagini di cani randagi e homeless, contro i preconcetti di un mondo invisibile ai piu’. Nonostante la struttura sinuosa della Hadid, che non agevola gli allestimenti e la comprensione di materiali così eterogenei, al momento la cura Hanru funziona. La speranza e’ che non si faccia fagocitare dal sistema, anche se la prossima mostra prevista su Ettore Spalletti, sarebbe più opportuna alla GNAM per vocazione dedita al Novecento.

[Emanuele Piccardo]