Emanuele Piccardo. Libera al Mart

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Adalberto Libera, La città ideale, 1937

Adalberto Libera, moriva quarant’anni fa a Roma. E’ stato uno dei più importanti protagonisti dell’architettura razionalista italiana, nato a Villa Lagarina nel 1903, é cresciuto in un contesto culturale che ha dato i natali ad altri grandi come l’architetto e amico Gino Pollini e il futurista Fortunato Depero. Il Mart di Rovereto gli dedica un omaggio con la mostra curata da Nicola Di Battista, architetto e prossimo direttore di Domus. Il tema dell’esposizione é la città ideale che Libera immagina fin dagli esordi.

Lo spettatore, in un display espositivo collaudato e in piena aderenza alla società dello spettacolo, di debordiana memoria, viene abbagliato da quattordici gigantografie di altrettanti progetti visionari tra i quali: la sistemazione del mausoleo di Augusto (1934-37), Arco dell’E42 (1937-40), Palazzo dell’Acqua e della Luce (1939), la Città Ideale (1937), Sala ricevimenti del Palazzo dei Congressi all’E42 (1937). Questi in particolare, si inseriscono a pieno diritto in quelle utopie architettoniche disegnate da Étienne Louis Boullée rappresentate da cenotafi e monumenti funebri, da Claude Nicolas Ledoux che realizza nel 1779 le saline reali di Arc et Senans, dove viene adottata la pianta centrale come omaggio all’antichità, fino alla cité industrielle di Tony Garnier (1901-1904), in cui l’architettura “è elemento essenziale dell’organizzazione sociale”. Non e’ un caso che l’architetto trentino proponga piante centrali prevalentemente circolari, monolitiche per l’uso dei materiali, marmo e mattoni, monumentali nelle dimensioni a rimarcare una tendenza del tempo, ovvero rapportarsi con l’antica Roma, emblematica del ventennio fascista. Se il curatore insiste nel catalogo indicando Libera come un architetto moderno, si può precisare che la sua modernità rimane nel solco della tradizione.

Un fatto confermato da Bruno Zevi che riporta il manifesto del Gruppo 7(fondato nel 1926 da Figini, Pollini, Frette, Larco, Libera, Rava e Terragni): “noi non vogliamo rompere con la tradizione è la tradizione che si trasforma…la nuova generazione proclama una rivoluzione architettonica che vuole organizzare e costruire: un desiderio di sincerità, di ordine, di logica…” Zevi li definisce “enunciati vaghi e cauti…ambiguità di significati per non irritare nessuno”, questo atteggiamento non li salverà dall’epurazione attuata da Marcello Piacentini dopo le prime due mostre, del ’28 e del ’31, sull’architettura razionalista. Proprio nella seconda mostra, allestita nella galleria di Pietro Maria Bardi a Roma, fece scalpore il tavolo degli orrori, fotomontaggio beffardo dell’Italia provinciale, folkloristica, umbertina, in cui erano inserite brutture architettoniche pseduoclassiche e pseduobarocche di Brasini, Bazzani, Giovannoni e Piacentini.

Di fronte ad una rivoluzione di facciata, il fascismo voleva mantenere lo status quo senza opposizione e la nouvelle vague dell’architettura moderna rappresentava una minaccia, solo Terragni, Pagano e il duo Figini&Pollini cercarono vie alternative al linguaggio architettonico di stato. Proprio Figini&Pollini, riuscirono, lavorando per Adriano Olivetti,in un contesto particolare e protetto come quello di Ivrea, a verificare le proprie idee architettoniche e costruire la prima città moderna contrapposta alle città di fondazione. Libera, infatti, come molti altri suoi colleghi Luigi Moretti, Angiolo Mazzoni, Eugenio Montuori, Giovanni Michelucci, propone un linguaggio aderente all’ideologia fascista. Dall’altra Figini e Pollini declinano il razionalismo seguendo i dettami lecorbuseriani, soprattutto nell’ampliamento della fabbrica Olivetti (1939-42), cercando, pero’, una ricerca autonoma che si differenzia dall’applicazione letterale del razionalismo come accadde per i nordeuropei, tedeschi e olandesi, ma contestualizzando le proprie architetture rispetto ai luoghi. In questo senso l’asilo a Borgo Olivetti, realizzato nel 1939, nello stesso anno in cui Libera disegna il Palazzo dell’acqua e della luce, riprende alcuni caratteri vernacolari, come l’uso della pietra in facciata, ma declinandoli in maniera moderna evitando di conferire all’involucro quella monumentalità cara a Libera.

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Adalberto Libera, Palazzo dell’Acqua e della Luce, 1939

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Luigi Figini e Gino Pollini, Asilo Nido a Borgo Olivetti, Ivrea 1939

Sono due idee diverse di modernità che si confrontano, e che si avvicineranno solo nel dopoguerra quando Libera realizzerà il quartiere orizzontale del Tuscolano a Roma nel 1954, rinnegando il passato. Come accaduto per Le Corbusier, anche i razionalisti italiani cambiano registro nel dopoguerra. Così Figini e Pollini virano verso il new brutalism al pari di Vittoriano Viganò, con la chiesa della Madonna dei Poveri, mentre Libera abbandona la monumentalità per concentrarsi sul progetto Ina Casa, in cui e’ coinvolto sia per la redazione dei manuali d’uso per gli architetti sia per la costruzione del Tuscolano, un vero e proprio manifesto sull’idea di citta’. Paradossalmente nel palinsesto composto da Di Battista, che nutre un’ammirazione profonda per Libera, tutto ciò non appare essendosi concentrato solo su alcuni progetti, proponendo una lettura frammentaria con pochi materiali originali (l’archivio Libera fu acquisito dal Centre Pompidou nel 1996) ad eccezione della Collezione Paola Libera, senza costruire l’indispensabile cornice del contesto storico, politico e architettonico. Ancora una volta si pone la questione della rappresentazione dell’architettura. MoMa e Pompidou riescono, pur soddisfacendo i pruriti di intellettuali e critici, a comporre mostre con un alto livello di comprensione, perché fine principale di una mostra, ben diverso da un’installazione site specific, é comunicare la complessità con un linguaggio accessibile a tutti. In questo senso la mostra trentina punta molto sulla scenografia delegando al catalogo gli approfondimenti.

Il Mart di Rovereto sotto la nuova direzione di Cristiana Collu, dimostra anche nelle altre mostre: “La magnifica ossessione”, una splendida carrellata delle collezioni museali, “Andata e Ricordo. Souvenir de voyage”, realizzata dai giovani curatori del museo Nicoletta Boschiero, Veronica Caciolli, Daniela Ferrari, Paola Pettenella, Alessandra Tiddia, Denis Viva, “Paolo Ventura. Mago futurista” a cura di Nicoletta Boschiero nella Casa d’arte futurista Fortunato Depero, la validità di un progetto culturale che merita di essere sostenuto. “Andata e ricordo” è una piccola mostra che ha il merito di affrontare il tema del viaggio e della vacanza attraverso lo sguardo di alcuni poeti della visione come l’Italia in miniatura di Luigi Ghirri, rappresentazione a scala ridotta dei monumenti, i manifesti pubblicitari delle località di vacanza al mare e in montagna disegnati dal savonese Filippo Romoli, dal ’40 al ’68. E ancora tutta quella oggettistica kitsch come le boules à neige, Per grazia ricevuta/per grazia riciclata di Julio Paz che ha raccolto dal 1977 al 2009 ex voto e manufatti di vario genere racchiusi in cassette di legno come micro-mondi, testimonianza del nomadismo dell’artista. La visione fotografica costituisce l’elemento centrale del progetto culturale ben rappresentato dal lavoro La disparition di Paola Di Bello, che ricostruisce la rete del metrò parigino con singoli frammenti della mappa fotografati e assemblati in un collage unico, le fotografie fatte da Rä Di Martino dei set cinematografici americani abbandonati nel deserto marocchino, il kaleidoscopio di Maria Elisabetta Novello. Lorenzo Missoni, invece, con L’Enciclopedia ritaglia le fotografie proprio dalle enciclopedie, creando dei collage su cui pratica dei fori tondi che determinano spaesamento e collimazioni tra le immagini in primo piano e quelle di sfondo. Una modalità quella del tondo che rimanda alla fotografia pittorica ottocentesca e alle ricerche sul paesaggio del fotografo Vittore Fossati, praticate dagli Anni Ottanta.

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Paolo Ventura, Mago futurista

Alla Casa di Fortunato Depero si innesta il lavoro di Paolo Ventura, “Mago futurista”, prossimo artista residente al Mart. Ventura crea dei set all’interno dei quali costruisce la storia del mago che fa scomparire il monello in cui lui è autore ed attore sullo sfondo di una Milano alla Mario Sironi, mentre nella seconda serie interpreta il pittore-soldato futurista che va in guerra e poi ritorna mutilato a chiedere l’elemosina. Entrambi sono figure senza tempo, fanno parte di me-afferma Ventura-che dialogano con coerenza e leggerezza con l’opera di Depero esposta nella casa-museo, dagli arazzi alle marionette, creando, anche in questo caso, un forte legame col tema del viaggio filo conduttore di tutte le esposizioni presentate.

[Emanuele Piccardo]