Nicola Bertasi. Intervista a Eugenio Carmi
Cinquant’anni fa nasceva a Genova la Galleria del Deposito: una storia legata alle avanguardie artistiche degli anni sessanta, dove si sono incrociate le diverse esperienze di pittori, fotografi, grafici ed editori uniti da una certa idea democratica della fruizione delle opere d’arte. Carmi, come funzionava la galleria del Deposito? La nostra attività era frenetica: la galleria ogni mese inaugurava una mostra personale e inoltre produceva opere multiple e serigrafie, in genere di artisti amici italiani e stranieri convinti, come noi, dell’importanza della nostra iniziativa. Tutti aderirono alla richiesta di fornire un originale senza ricevere un compenso e in cambio noi ci impegnavamo a vendere a basso prezzo le opere multiple ricavate dal loro originale, rispettando la regola fondamentale di una cooperativa: reinvestire in nuove opere, non incassare i guadagni. Gli artisti li conoscevo quasi tutti ed è stata proprio questa amicizia e vicinanza a offrirci l’opportunità di averli facilmente alla Galleria del Deposito. E il quartiere di Boccadasse come rispondeva alle vostre iniziative? Boccadasse è un vecchio borgo alla periferia di Genova e, come nei piccoli paesi, tutti si conoscono. Noi conoscevamo tutti gli abitanti. Ricordo con nostalgia gli amici pescatori, in particolare Nanni. Lui la sera, prima di uscire in mare per la pesca, ruotava il dito indice umido e sentiva la direzione del vento. Se era buono, usciva con la sua barca e al mattino seguente sua moglie veniva a venderci il pesce appena pescato. Cose di altri tempi.
Genova attraversava un periodo di grande effervescenza culturale. Nascevano le canzoni di De André, tra i vicoli del centro storico mentre teatri come lo Stabile e la Borsa di Arlecchino proponevano una programmazione di alto profilo. La Superba si distingueva anche per la sua attività editoriale: la rivista Marcatré, poi riferimento critico della neoavanguardia italiana, è stata creata proprio sotto lo sguardo vigile della Lanterna. C’era il boom economico e l’Italsider di Gian Lupo Osti svolgeva un ruolo trainante, coinvolgendo artisti nell’idea di reinvestire soldi nella cultura.
C’era il porto affacciato sul Mediterraneo, la punta di quel triangolo industriale che faceva immaginare un futuro di crescita infinita, quasi come se gli anni sessanta fossero soltanto una premessa a un futuro dove tutto sarebbe andato meglio. Il mondo è cambiato. Oggi tutto questo è un ricordo, è finito il tempo della speranza, è arrivata la tecnologia a trasformare la nostra vita, con aspetti positivi ma anche negativi, soprattutto per il grande abbandono del nostro rapporto con la natura. Oggi i bambini escono dal grembo della madre col telefonino in mano, nascono già invasi di tecnologia. Anche l’arte è in crisi, ha perso l’identità che l’ha accompagnata nei millenni, non ci consente di riconoscere l’identità dell’autore. Non so bene cosa dire, ma credo che questo rispecchi la grande crisi del mondo che non è, come tutti credono economica. È una crisi di valori spirituali, solo fra venti o trent’anni potremo giudicare cosa sia accaduto. In particolare, la situazione politica italiana è fra le peggiori, soprattutto perché chi ci ha governato negli ultimi vent’anni non conosce la bellezza e perciò non conosce l’Italia. Troppi italiani non hanno ancora capito che la bellezza e la cultura rendono molto più del petrolio. Nicola Bertasi studia storia e letteratura laureandosi all’Università Statale di Milano nel 2009, è fotografo e collabora con Il Manifesto.
Questo articolo è stato pubblicato in Alias dell’ 11 maggio 2013, si ringrazia Il Manifesto per la disponibilità nel concederne la diffusione. |