Giovanni Bartolozzi. A scuola con i due Leonardi

riccisavioli

Leonardo Savioli &Leonardo Ricci, Archivio Fotografico Toscano di Prato, Fondo Bencini

Amici fraterni, visceralmente diversi ma complementari, Leonardo Ricci e Leonardo Savioli, assieme al maestro Michelucci, hanno rappresentato la punta più alta e poetica dell’architettura italiana a Firenze, sul terreno artistico, progettuale e della didattica universitaria. Essi hanno aperto le porte a quell’interesse che ancora oggi è riservato all’architettura fiorentina degli anni sessanta. E’ azzardato stabilire la paternità di una corrente di pensiero, ma è indubbio che la spinta al rinnovamento e la propensione verso la didattica di questi due maestri hanno giocato un ruolo decisivo nello scenario della scuola fiorentina durante gli anni caldi della contestazione studentesca. Rintracciamone i moventi più significativi.

Va premesso che si tratta di figure dal calibro umano sproporzionato, professori per vocazione autentica, artisti trasgressivi, instancabili conoscitori che credevano nella complementarità delle arti e nelle forme di contaminazione del pensiero, tutti elementi da cui la loro didattica traeva forza e ispirazione.

In circa quarant’anni di attività didattica hanno forgiato generazioni di architetti attraverso numerosi corsi che vanno da Disegno dal vero a Industrial design, Architettura degli interni, Visual design, Elementi di composizione architettonica e Urbanistica. Gli allievi di quegli anni ricordano con entusiasmo l’originale corso di Visual Design tenuto da Leo Ricci e caratterizzato da una serie di esercitazioni che portavano lo studente ad avere padronanza del segno, dal disegno fino alle tre dimensioni. Disegni, collage, modelli materici, stampi, fil di ferro e strutture spaziali erano il risultato di lavori che certamente stridevano al confronto coi corsi di Disegno dal vero degli altri docenti e che, per la prima volta in quegli anni, insegnavano a rappresentare un pensiero, un’idea e a trascriverla col linguaggio dei segni. “Rappresentare le orme”, “riprodurre il ritmo”, “forme e contro-forme”, “disegnare una forma in espansione” erano solo alcune delle esercitazioni di quel corso e costituivano un importante momento di apprendimento per gli studenti, perché attraverso l’analisi e la correzione di quelle esercitazioni, Ricci stimolava la costruzione di una grammatica della forma, rintracciava cioè le basi di linguaggi individuali e riusciva a far comprendere quanto il segno fosse direttamente legato a riflessioni filosofiche, al pensiero.

Così come i corsi di Architettura degli interni e di Arredamento tenuti da Leonardo Savioli tra il 1966-67 e sintetizzati nello storico volume “Ipotesi di spazio”, che aprirono una stagione incandescente della facoltà fiorentina, i cui risultati rappresentavano una versione del tutto singolare delle ricerche che in quegli anni producevano le più grandi scuole di architettura del mondo, ma senza perdere mai il riferimento all’uomo. Architetture che si configuravano come congegni spaziali complessi e che per la prima volta portavano dentro il progetto dei super-oggetti decontestualizzati, ingigantiti, esasperati, assieme ad elementi plastici e simbolici che legittimavano un atteggiamento inclusivo nella progettazione, ma a condizione di un riequilibrio formale, plastico e materico che apparteneva alla lezione di Savioli.

Si deve quindi ai corsi di Ricci e Savioli la prima spinta al rinnovamento, in senso stimolante e aggressivo, della didattica alla Facoltà di architettura di Firenze.

Quale è stata la loro effettiva influenza nello scenario dell’architettura radicale e in che misura essi ne hanno preparato – inconsapevolmente – il terreno? Con le loro lezioni, antecedenti alla contestazione, Ricci e Savioli hanno iniettato dentro le fibre dell’architettura l’irruenza dell’arte visiva che si è poi tramutata, per una sorta di legge naturale, nell’attenzione verso la pop art. Furono loro a legittimarne lo scambio, a teorizzare quell’apertura tra i linguaggi artistici che subito dopo portò agli accesi dibattiti sulla linguistica. Fu Ricci ad invitare Umberto Eco a tenere le prime lezioni di semiotica dentro il suo corso e dagli appunti di quelle lezioni nacque “Opera aperta” di Eco, originariamente apparso come dispensa al corso di Ricci e divenuta subito dopo testo centrale per il dibattito sulla semiotica, che proprio a Firenze ebbe in G.K.Koenig uno dei principali studiosi.

Decisivo il loro schierarsi a favore degli studenti durante la contestazione, a sostegno di alcuni obiettivi della riforma, primo tra tutti l’esame collettivo che riconosceva per la prima volta la possibilità e la potenzialità di progettare in gruppo e che di fatto favorì la nascita di gruppi studenteschi: una nuova metodologia di lavoro che Ricci e Savioli assecondarono perché vedevano nella scuola un’occasione creativa collettiva, che ispirò la nascita di quei gruppi studenteschi oggi noti come radicals e caratterizzati dalla comune origine studentesca.

Come dimostrano i verbali delle assemblee e dei consigli di facoltà, Leo Ricci ebbe un ruolo determinante durante nella contestazione studentesca. Per placare l’aspra rivolta fiorentina, caratterizzata dai famosi ottantacinque giorni di occupazione della facoltà di architettura, durante la presidenza di Giuseppe Gori, Ricci, assieme al giovane Umberto Eco, propose all’assemblea generale la cosiddetta Mozione Ricci-Eco, un importante documento approvato dal Consiglio di Facoltà nel marzo del ‘68, a poche settimane dalla fine dell’occupazione. Nella mozione si riconoscono le richieste degli studenti e l’importanza dell’assemblea generale quale luogo di scambio e di confronto tra docenti e studenti, e soprattutto si rivendica per la prima volta l’università come “luogo aperto”.

Tra i rumorosi gruppi radicals, fin troppo gloriosi del loro passato, Remo Buti rimane il più silenzioso e autentico allievo dei due leonardi fiorentini. “Un ghignante fustigatore dell’eccesso”, come lo ha definito Branzi, Buti è riuscito a trarre il meglio dai due maestri: il rigore atonale di Savioli e l’irruenza plastica di Ricci, creando una miscela del tutto autonoma e originale che ha tenuto alto, quasi fino ai nostri giorni, lo spirito e la lezione di questi due insolite personalità, attraverso il suo lavoro e la sua coinvolgente attività didattica.

In una inedita lettera a Remo Buti, Savioli scrive: «Io domando sempre se si è visto “qualcosa di bello”, un quadro o un’architettura per esempio; ma solo perché un pezzo di un altro che abbia significato esistenziale aumenta la mia esistenza; moltiplica la mia possibilità di vivere; […] Allora sono felice di incontrarmi con persone come voi dove questa “esistenza” c’è e dove questa capacità di trasmetterla e anche manifesta».

Ricci e Savioli rimangono gli amici fraterni che hanno preparato il terreno per le numerose stagioni di rinascita che sono esplose e che esploderanno a Firenze.

 [Giovanni Bartolozzi]

Articolo pubblicato in archphoto 2.0 n.01

english text

At school with the two Leonardos

Brotherly friends, deeply different but complementary, Leonardo Ricci and Leonardo Savioli, along with master Michelucci, represented the highest and most poetic peak of Italian architecture in Florence in terms of their contribution to art, design and university education. Although it is always difficult to establish the paternity of a current of thought, there is no doubt these two masters played a decisive role with their impulse for renewal and focus on education in the scene of the Florentine school during the turbulent years of student protest. Let’s see what their main reasons were.

First of all it should be noted that they were men of extraordinary human value, professors with a true vocation, transgressive artists, tireless scholars who believed in the complementarity of the arts and the contamination of different thoughts, all elements that nourished and inspired their educational activity.

In almost forty years of university activity, they forged many generations of architects by teaching several courses, from Life Drawing to Industrial Design, Interior Design, Visual Design, Elements of Architectural Composition and Urban Planning. Their former students enthusiastically recall the original Visual Design course taught by Leo Ricci with its program of tutorials that led students to master the sign up to three-dimension drawing. Drawings, collages, physical models, moulds, wire and spatial structures were the result of works that could not be more different from the Life Drawing classes taught by other professors and that, for the first time, showed how to represent a thought, an idea by transcribing it in the language of signs. “Representing foot-prints”, “reproducing rhythm”, “shapes and counter-shapes”, “drawing an expanding shape” were just some of the tutorials of that course. They crucially contributed to the students’ learning process, as Ricci, through his analysis and correction of tutorials’ results, stimulated the construction of a grammar of form, in other words retraced the basis of individual languages and clarified how the sign was directly connected to philosophical meditation and thought.

The same can be said about the Interior Design and Furniture Design courses taught by Leonardo Savioli in 1966-67 and summarised in the influential book “Ipotesi di spazio”. They opened the incandescent season of the Florence school of architecture that resulted in an altogether original take, without ever losing touch with the human dimension, on the researches then developed by schools of architecture across the world. Architectures that looked like complex spatial devices and for the first time carried the design of giant, exasperated, de-contextualized super-objects along with plastic and symbolic elements that legitimized an inclusive approach to design but always in the context of the formal, plastic and material balance that was typical of Savioli’s lesson.

Ricci’s and Savioli’s courses should thus be credited with giving the first impulse to the stimulating and aggressive renewal of education at the Florence School of Architecture.

What was their actual influence on the scene of radical architecture and how did they – unwittingly – prepare its development? With their lessons, prior to the protest years, Ricci and Savioli inoculated architecture with the vehemence of visual art that later germinated, for some kind of natural principle, in the connection with pop art. They legitimized such connection, gave theoretical validation to the opening to art languages that immediately thereafter led to the heated debate on linguistics. It was Ricci who invited Umberto Eco to give his first semiotics lectures at his course. Those very lectures were the basis for Eco’s book “The Open Work”. Initially published as lecture notes to Ricci’s course, the book immediately became a crucial text in the semiotics debate which, right there in Florence, had one of its main proponents in G. K. Koenig.

Ricci’s and Savioli’s alignment with the students and some goals of the reform, first and foremost collective exams that for the first time recognized the possibility and potential of group design and actually enabled the establishment of student groups, was crucial. It was a new work method that Ricci and Savioli supported as they saw in school an occasion for collective creation – that inspired the birth of the groups we now know as radicals characterized by their common student origin.

As the minutes of assembly and faculty board meetings clearly show, Leo Ricci had a decisive role during the student protest. In order to placate the Florentine riot, with its famous eight-five days occupation of the school of architecture during Giuseppe Gori’s tenure as president, Ricci, along with the young Umberto Eco, brought to the general assembly the so-called Ricci-Eco Motion, an important document approved by the Faculty Board in March 1968, a few weeks after the occupation’s end. The motion recognized the students’ requests and the importance of the general assembly as a place for exchange and communication between professors and students. First and foremost, for the first time the university was considered an “open place”.

Of the noisy radicals, way too proud of their past, Remo Buti remains the quietest and truest of the two Florentine Leonardos’ students. “A sneering scourger of excess”, as Branzi has defined him, Buti took the best from his two masters: Savioli’s atonal rigour and Ricci’s plastic vehemence, creating an altogether original and individual mix that, with his work and stimulating educational activity, has kept high, almost until our days, the banner of these two unusual men’s spirit and lesson.

In an unpublished letter to Remo Buti, Savioli writes: «I always ask whether one has seen “anything beautiful”, for example a painting or a building; but only because the fragment of existential meaning in someone else’s experience enhances my own existence; it multiplies my potential for living; […] Then I am glad to spend time with people like you as I can find such “existence” along with the manifest ability to convey it».

Ricci and Savioli remain the brotherly friends who prepared the ground for the many seasons of rebirth that have exploded and will explode again in Florence.

 [Giovanni Bartolozzi]