Davide Bruno. Per una nuova storia dell’igiene urbana

Supertracce Permanenti: partizioni decorative tradizionali delle grandi superfici cittadine, Piazza di Palazzo Reale, Milano, 2012.
Da: “Urban Care – Dotazioni Urbane e cura dello spazio pubblico”.

Com’è noto, l’urbanistica nasce sul finire del XIX Secolo anche come soluzione a problematiche di igiene urbana. I primi modelli urbanistici, realizzati da Robert Owen per la Contea di Lanark (1), o da Ebenizer Howard con la Garden City (2), sono stati concepiti non solo in ragione dei nuovi assetti spaziali e sociali della città moderna, ma anche come soluzioni a emergenze medico-sanitarie. Anche le visioni urbanistiche più proiettate nel futuro e meno riottose all’innovazione della civiltà delle macchine – come il boulevard à redans di Eugène Hénard, vera anticipazione della città multilivello contemporanea – oltre a confrontarsi con le nuove tecnologie predisponevano efficaci dispositivi per massimizzare l’apporto di luce nelle città dense e per ottimizzare la salubrità di strade e spazi pubblici (3).

Con il progresso economico e sociale maturato nel corso del XX secolo, il tema medico-sanitario ha via via assunto autonomia e indipendenza rispetto alle politiche urbane e ai processi di pianificazione e di costruzione di scenari, relegando la questione dell’igiene urbana a una dimensione di puro servizio: del tutto secondaria rispetto alle scintillanti visioni architettoniche sviluppate dalla modernità. La sanificazione degli spazi pubblici è stata così sempre più percepita come risorsa strumentale passiva, evanescente e “invisibile”, ben lontana dall’appealing riservato alle forme permanenti o alle immagini visive proprie alla dimensione formale e tangibile del costruito. Solo con il progressivo allontanamento dalle questioni della forma, a partire dalle fine degli anni Sessanta, i temi della città immateriale e della percezione sensoriale sono diventati nei decenni successivi centrali nella cultura del progetto, favorendo nuovi apporti all’urbanistica provenienti dai mondi dell’arte, del design o dell’architettura più sperimentale. Tali “innesti” mettevano in rilievo la necessità del progetto urbano di uscire da norme e prescrizioni specialistiche che “esprimono solo le esigenze delle specializzazioni che le emettono”, come rilevava Giancarlo De Carlo (4).


Clino Castelli, Theater Set Design, 1969. La segnaletica fotosensibile come dispositivo urbano

Il tema oggi dirimente dell’emergenza sanitaria dettata dal Covid-19 (rappresentato da impressionanti immagini di sanificazione delle strade e delle piazze da parte di addetti in assetto protettivo) riporta in primo piano l’antico legame fra microbiologia e macroscala dell’ambiente abitato. Il più significativo spostamento rispetto alle visioni eroiche dell’igiene urbana ottocentesca, nell’odierna sanificazione, è costituito dalla necessità di intervenire sulla città esistente, piuttosto che su nuove estensioni urbane. Tale esigenza implica fattori di efficienza dei servizi, delle procedure e delle soluzioni: mirati, ripetibili e determinanti come segni tangibili di una attenzione al territorio continua e pervicace. In questo senso, l’orientamento programmatico si allontana dalla dimensione fisico-architettonica della città, avvicinandosi all’idea di una nuova “Medicina Urbana” (concetto legato a casi di forte disagio sociale, ove la medicina si intreccia con l’urbanistica dei servizi) (5), Milano, città a lungo centro mondiale per impatto del fenomeno pandemico, si propone in questo senso come un caso studio globale per una nuova politica dell’igiene e della cura urbana. Proprio Milano, a partire dal 2015, ha avviato istuzionalmente lo studio di uno strumento metaprogettuale, chianato “Urban Care” (6), finalizzato a una serie di azioni urbane sullo spazio pubblico capaci di porre al centro lo sguardo progettuale anche nel caso di interventi solitamente considerati “tecnici”, come l’igiene urbana.

La capacità di andare “al di là del progetto” che distingue gli strumenti di intervento metaprogettuali, e che ne caratterizza la natura sistemica ‘aperta’, si predispone come piano ideale a nuove forme di igiene urbana legata a una rete di servizi, componenti o serie di prodotti applicabili a più casi di intervento. Una “atopicità”, tipica del design, ben diversa da quella dal progetto urbano ‘ad hoc’ e finalizzato a un dato contesto o ambiente. Il metaprogetto, a maggior ragione quando legato all’applicazione di elementi di salute pubblica, indica la necessità di un’adeguata innovazione a tutti i livelli, compreso il linguaggio che serve a sostenere un cambio di paradigma (7) (presiosi, in questo senso, gli studi compiuti da Francisco Maturana nel campo della biosemiotica) (8). In termini pratici, oggi ciò aggiunge una notevole complessità al compito di gestire azioni e risultati di intervento nelle città: ancor più se si considera la necessità di intervenire nei grandi agglomerati urbani iper-densi. L’affrontare concretamente la condizione determinata dal Covid-19 opplica la necessità di adottare nuovi strumenti di conoscenza e azione: una rete interpersonale che deve essere interpretata e applicata da una pluralità di attori, riducendo la certezza precostituita di ruoli e azioni, e rendendo necessario rinominare le esperienze urbane e sociali condivise.

Agenzia 2791, Untitled Architecture, Studio Pare: “Città Ex Post”, per un catalogo aperto degli esterni domestici. La Triennale di Milano, 2020

L’odierna centralità dell’intangibile – la materia sanificante a base di acqua e liquido sanificante PMC – negli interventi sul territorio sposta in campo delle politiche urbane e progettuali verso l’immateriale e il non-formale. A pari del clima e dei microclimi delle città, i prossimi standard di igiene dovranno porsi come veri soggetti di riqualificazione urbana. Anche al di là dell’emergenza più accentuata, una rinnovata attenzione verso questi aspetti può fornire un’occasione per concretizzare l’idea di un design di prodotti e servizi per la città basato sugli aspetti intangibili (ancor più profondi di quelli percettivi e sensoriali già affrontati dal cosiddetto “design primario”). In questo senso, è rilevante osservare come qualità tipicamente “domestiche”, come l’igiene o il comfort, vengano sempre più spesso individuate oggi come elementi capaci di definire una nuova narrazione dell’abitare urbano (9).

La città dell’emegenza pandemica ha rivelato ancor più la sua natura di sistema complesso, composto da strutture, spazi e fattori ambientali di natura climatica e sensoriale in grado di relazionarsi alla scena urbana. Il coordinamento tra i vari Enti e Multiutility coinvolti nella sanificazione dello spazio pubblico post-Covid richiederà probabilmente l’adozione di strumenti univoci di riferimento, quali mappature parametriche digitali BIM (Building Information Modeling), capaci di indicare con precisione il posizionamento e le caratteristiche effettive delle singole condizioni sanitarie e microclimatiche locali, ma anche di soluzioni capaci di attraversare le scale e le tecnologie. Solo correlando nel profondo e ridefinendo i linguaggi disciplinari potremo definire i protocolli di una nuova “igiene urbana”, capace di ricondurre tutti noi verso una nuova immagine della città.

[Davide Bruno]

26.4.20

Note bibliografiche

(1) Cfr. Robert Owen, “Report to the Committee for the Relief of the Manufacturing Poor”, Londra, 1817

(2) Cfr. Ebenezer Howard, “Garden Cities of To-morrow”, Swan Sonnenschein & Co. , Londra, 1898

(3) Cfr. Eugène Hénard, “The Cities of the Future”, in: “American City”, gennaio 1911

(4) Cfr. Giancarlo De Carlo, “La burocrazia e il progetto”, in: “Spazio e Società” n. 68, Ottobre-Dicembre 1994

(5) Cfr. per es: http://www.uccaribe.edu/

(6) Cfr. Ordine Architetti P.P.C. di Milano, “Urban Care – Dotazioni Urbane e cura dello spazio pubblico”, Milano 2015

(7) Cfr. Wood, J., (2013), “Metadesigning Paradigm Change: an ecomimetic, language-centred approach”, in “Handbook of Design for Sustainability”, a cura di Stuart Walker e Jacques Giroud, Berg, 2013

(8)Cfr. Maturana, H. R., Varela, F. G., “Autopoiesis and Cognition”, Dordrecht, Reidel, 1980

(9) Cfr: Agenzia 2791, Studio Pare, Untitled Arch. (a cura di), “Città Ex Post”, La Triennale di Milano, 2020