Alessandro Lanzetta. Amare l’architettura? Senza dubbio, ma proprio adesso?
Gio Ponti. Amare l’architettura (MAXXI, 27 novembre 2019-13 aprile 2020 ) è senza dubbio una mostra bella e molto stimolante, che riporta finalmente alla ribalta il lavoro architettonico del maestro milanese: una produzione progettuale di altissima qualità, praticamente dimenticata dalla critica contemporanea, che, negli ultimi decenni, ha spesso relegato il lavoro e la figura di Ponti nell’ambito del design, dell’architettura d’interni e dell’editoria di settore. Basterà qui ricordare la recente esposizione parigina Tutto Ponti. Gio Ponti Archi-Designer al Musée des Arts Decoratifs (9/10/2018 – 5/05/2019), incentrata proprio sulla produzione di mobili, ceramiche, manufatti in vetro ed elementi di design industriale. Al MAXXI, invece, Maristella Casciato e Fulvio Irace (con Margherita Guccione, Salvatore Licitra e Francesca Zanella) hanno messo in scena gli entusiasmanti e mai banali edifici progettati dal maestro durante la sua lunga carriera, svolta dagli anni Venti agli anni Settanta del Novecento: sei decenni che coincidono con la stagione della grande architettura moderna italiana. Attraverso l’esposizione di materiali archivistici, modelli originari o prodotti per l’occasione, fotografie d’epoca, libri, riviste ed elementi d’arredo, i curatori mostrano la grandezza di una ricerca formale fortemente legata alla tradizione, sia a quella classica che a quella più popolare e colorata del Mediterraneo, ma tuttavia sempre guidata da una sperimentazione pienamente moderna, volta alla produzione industriale. Non solo. L’attualità della maniera pontiana è ben sottolineata dai lavori di un team di fotografi, ingaggiati per l’occasione, che mostrano alcuni edifici del maestro nella quotidianità dei nostri giorni. La mostra è anticipata già nella hall del museo, con un’installazione formata da grandi stendardi in alcantara sospesi che riproducono le facciate stilizzate di alcuni grattacieli poco noti, a formare un’ipotetica e inedita città pontiana. Percorrendo una riproduzione della pavimentazione in giallo fantastico del Pirelli si arriva alla galleria dell’esposizione, dove il visitatore è accolto dal progetto fotografico di Thomas Demand sui modelli in cartone degli stessi edifici verticali visti all’ingresso, conservati all’archivio dello CSAC di Parma. L’allestimento, dominato dai tenui colori pontiani, è articolato in otto sezioni che evocano alcuni concetti chiave dell’opera del maestro e riproducono il suo spazio fluido. Le sezioni sono tematiche e abbracciano l’intera carriera dell’architetto, mostrandone anche la dimensione internazionale: Verso la casa esatta espone una serie di progetti residenziali, dalle celebri Domus milanesi alle torri sperimentali degli anni Settanta – la casa adatta – legate all’industrializzazione pesante, poco note o dimenticate. Classicismi, invece, mostra i grandi progetti degli anni Trenta, come la scuola di matematica della Sapienza, l’università di Padova e il Primo palazzo Montecatini, che influenzerà anche il secondo degli anni Cinquanta. Abitare la Natura descrive la dimensione mediterranea di Ponti, dal sodalizio dagli anni Trenta con Rudofsky, suo virgiliano accompagnatore nel paesaggio sudeuropeo, fino alle ville più organiche e intime degli anni Sessanta e Settanta. Architetture della superficie affronta l’idea progettuale della facciata come piano bidimensionale, da bucare e piegare come un foglio di carta, introdotta nei progetti internazionali degli anni Cinquanta-Sessanta: l’Istituto di Cultura di Stoccolma e il progetto dell’Istituto di Fisica nucleare di San Paolo, ma anche le famose ville Nemazee di Teheran e Planchart a Caracas, dove l’involucro si stacca da terra e fluttua su una pianta complessa e articolata. L’architettura è un cristallo riprende la poetica definizione del maestro per descrivere la forma finita e immutabile dell’architettura, qui applicata alle sfaccettate piante dell’Art Museum di Denver, alla chiesa milanese di San Carlo, ma anche a elementi di arredo, a maioliche di rivestimento e persino all’automobile Diamante. Facciate leggere riprende i temi precedenti e mette al centro le tenui facciate pontiane, smaterializzate nel «gioco arcano dell’architettura», mostrando edifici complessi come la Concattedrale di Taranto, in cui il cemento diventa aria e luce. Apparizioni di grattacieli mostra come il capolavoro assoluto del Pirelli ebbe molti compagni internazionali rimasti sulla carta, edifici con facciate esili e piante sfaccettate che moltiplicano le visuali prospettiche. Lo spettacolo delle città, infine, mostra un inedito Ponti urbanista che, sin dagli anni Trenta, proponeva una città verde composta da edifici alti, rivelando la sua adesione alle coeve correnti moderniste. Un’esposizione, insomma, che rende finalmente giustizia alle opere architettoniche di un maestro italiano del Novecento, un intellettuale che non solo produsse edifici, arredi e oggetti di design, ma divulgò l’architettura con riviste e pubblicazioni di altissima qualità e di respiro internazionale, eclettiche, antidogmatiche e pregne di uno sguardo curioso di cui sentiamo veramente la mancanza. Non si può tacere, tuttavia, che nell’esposizione manca una vera critica storica della figura e della traiettoria creativa di Gio Ponti. Non stiamo parlando, infatti, di un personaggio distante dal potere, ma dell’autore di molte opere e progetti editoriali pienamente inseriti nelle dinamiche politiche del secolo breve: quelle del regime fascista, quelle della ricostruzione postbellica e infine quelle del Boom consumistico. Un personaggio senza dubbio eccezionale ma anche piuttosto trasformista che, a rileggere gli articoli e gli slogan contenuti nelle sue riviste, non mancò mai di adeguarsi allo spirito del tempo, quale che fosse. Questa rimozione è frutto di una svista, di una dimenticanza? Direi di no, visti il luogo dell’esposizione, lo sforzo economico, l’altissima qualità dei materiali esposti e lo spessore intellettuale del team curatoriale. E allora una domanda viene spontanea: come mai, proprio ora, in una confusa situazione politica nazionale e internazionale che volge sempre più a destra e in assenza di una ricorrenza forte, il MAXXI celebra il genio indiscusso del più disimpegnato dei maestri del Moderno italiano, giustamente definito «né classico né moderno»? Certamente se ne sentiva l’esigenza da molti anni. Tuttavia, la rimozione storica dei lati più contradditori della carriera di Gio Ponti fa sorgere il sospetto che, ancora una volta, le istituzioni culturali italiane seguano il vento del momento, evitando però di confrontarsi con i pericolosi e contraddittori intrecci tra politica e architettura. Un tema spesso eluso per paura di incorrere in un duplice problema: quello con certa critica intransigente, incapace di scindere tra arte e vita di chi ha vissuto in prima persona le tragedie del Novecento; quello con il potere, che ha spesso bisogno di riscrivere una storia edulcorata, sterilizzata e adatta ai suoi fini. Una narrazione contemporanea dove, per esempio, essere stati apertamente fascisti non pone troppi problemi. L’opera di Gio Ponti come architetto, designer, editore, divulgatore, artista e intellettuale ha un tale spessore che non merita la rimozione di certe contraddizioni, che vanno affrontate proprio perché, semmai, la loro spiegazione critica e storica aumenta il valore del suo lavoro. 30.11.19 |