Emanuele Piccardo. Caro Giancarlo, quanto ci manchi
Giancarlo De Carlo nasce cento anni fa a Genova, è uno dei protagonisti dell’architettura del Novecento. Membro del Team X (il gruppo fondato da Alison e Peter Smithson e sostenuto dallo storico Reyner P. Banham) ha fondato la sua ricerca sulla coerenza tra pensiero critico, democrazia e progetto. Dopo la militanza nei partigiani, sarà il movimento anarchico con Carlo Doglio a metterlo in relazione con il critico letterario Carlo Bo, anch’egli ligure, divenuto Rettore della Libera Università di Urbino nel 1947. Bo ha rappresentato il committente ideale per De Carlo, come lo fu Federico da Montefeltro con l’architetto senese Francesco Di Giorgio Martini. La visione di De Carlo è totale, dalla didattica allo Iuav, a Yale e Genova alla collana editoriale del Saggiatore, dalla fondazione dell’ILA&UD (un laboratorio di progettazione con la partecipazione delle università internazionali sul tema del progetto nei centri storici) alla rivista Spazio&Società. Giancarlo De Carlo, Facoltà di Magistero a Urbino (1968-1976) Fotografie di Emanuele Piccardo (2019) Nonostante la vastità della sua produzione architettonica l’opera di De Carlo è legata indissolubilmente a Urbino, dove ha operato per quarant’anni. Fin dal Piano Regolatore del 1964 De Carlo ha definito l’importanza, nella elaborazione delle norme del piano, della forma della città e del progetto. Una posizione chiara contro gli urbanisti dello zoning, Piccinato e Astengo, suoi avversari anche allo IUAV, fautori della separazione disciplinare tra architettura e urbanistica. I suoi capolavori urbinati come la Facoltà di Magistero (1968-1976) e il Collegio del Colle (1961-1966) dimostrano la capacità di De Carlo nel leggere la storia e le sue stratificazioni, dall’età romana all’Ottocento, partendo dall’analisi dell’opera architettonica di Francesco di Giorgio, sia nel Palazzo Ducale sia nella Chiesa di San Bernardino. In entrambi i progetti l’architetto genovese riproduce, in una scala diversa e con un linguaggio autonomo, la sezione del centro storico urbinate con alcuni elementi chiave come la rampa e i continui cambi di visuali sul paesaggio. Ma l’idillio con Urbino finisce nel 1973 quando il P.C.I. e l’amministrazione comunale Magnani non rinnovano l’incarico a De Carlo, per attuare, sotto la spinta dei costruttori locali, i Piani Particolareggiati previsti dal suo stesso piano ma attuati da altri, senza la sua stessa forza progettuale. Così il problema è la preservazione del paesaggio anche con le nuove edificazioni. Il suo sostituto è individuato nel gruppo coordinato da Carlo Aymonino (Luciano Semerani, Gianugo Polesello, Gianni Fabbri, Raffaele Panella, Costantino Dardi) incaricato di attuare i Piani Particoleraggiati, il cui esito progettuale, non esaltante, fu la costruzione del Peep di Mazzaferro, una replica in piccolo del Gallaratese. Nonostante questo progetto Aymonino non è riuscito a scalfire la normativa di tutela paesistica definita da De Carlo nel PRG del 1964. Dopo il fallimento di Aymonino viene chiamato Leonardo Benevolo che ha il merito di salvaguardare il paesaggio urbinate e di costituire l’Ufficio del Piano che, purtroppo, genera il quartiere della Piantata, un esempio della deriva postmoderna che lo stesso Benevolo riconoscerà come traccia negativa del suo operato. De Carlo ritorna ancora a Urbino per il secondo PRG nel 1994. Quartiere IACP di Mazzorbo (1979-1995), fotografia di Emanuele Piccardo (2019) Villaggio Matteotti a Terni (1969-1974), fotografia di Emanuele Piccardo (2004) Ma la lezione urbinate viene applicata in altri progetti: il Piano Particolareggiato del Centro Storico di Rimini (1970-1972), come variante al Piano del 1965 di Giuseppe Campos Venuti, le residenze IACP di Mazzorbo (1979—1995), il Recupero del Quartiere genovese di Prè (1981—1983) e del borgo ligure della Colletta di Castelbianco (1994—1998). Un discorso a parte riguarda la partecipazione dei cittadini ai progetti. In questo senso l’avanguardia è rappresentata dall’elaborazione del primo PRG urbinate con il coinvolgimento diretto della popolazione, per proseguire con il Piano di Rimini, raggiungendo il culmine nella progettazione partecipata al Villaggio Matteotti (1969-1974) realizzato per gli operai dell’Acciaieria Terni, diretta dal 1965 al 1975 da Gian Lupo Osti, che già a Genova con Italsider aveva avviato collaborazioni con intellettuali e artisti. “L’idea di De Carlo era costruire coinvolgendo i futuri assegnatari[…]-afferma Stefano Zara dirigente dell’acciaieria Terni-Era un personaggio estremamente difficile e tendenzialmente scavalcava i sindacati a sinistra[…]Una prima cosa importante è stata l’assegnazione che è avvenuta con molto anticipo rispetto alla costruzione delle case stesse. Attraverso l’analisi sociologica fatta da Domenico De Masi sapevamo che la maggior parte erano operai-contadini[…] uno dei vincoli dati al progetto era avere molto verde”. De Carlo propone varie soluzioni progettuali e con l’aiuto dei sindacati e dell’acciaieria organizza una mostra per presentare il progetto agli abitanti che devono scegliere tra le soluzioni da lui proposte. Una idea di partecipazione molto diversa dalla strumentalizzazione odierna fatta unicamente per generare consenso elettorale. Qual’è dunque l’eredità di De Carlo? Indubbiamente rimane la sua capacità nel leggere la storia di un luogo, in tutta la sua complessità, per introiettarla nella sua idea di architettura senza rigurgiti reazionari, con l’obiettivo di realizzare un desiderio, che si fa necessità, di democrazia e libertà al servizio dell’intera comunità. 26.11.19 In uscita a dicembre il libro “Giancarlo De Carlo: l’architetto di Urbino, prenota la tua copia In collaborazione con ilgiornaledellarchitettura.com |