Emanuele Piccardo. Genova: senza contemporaneo non c’è futuro
E’ il 1985 quando Genova si dota del museo comunale di arte contemporanea “Villa Croce” dal nome della famiglia che dona l’immobile allo scopo di realizzarci il secondo museo italiano dopo il Castello di Rivoli, nato nel 1984 e diretto, dal 1991 al 2008, dalla genovese Ida Giannelli. Villa Croce detiene la collezione Ghiringhelli, con alcune opere significative legate al periodo dell’astrattismo e artisti del calibro di Lucio Fontana, Fausto Melotti, Pietro Consagra, con particolare attenzione al nucleo genovese dei poeti visivi (Anna e Martino Oberto, Rodolfo Vitone) e al lavoro di Claudio Costa. Ma rimane una collezione molto debole se paragonata con le collezioni private genovesi, all’interno delle quali si può ricostruire la storia dell’arte contemporanea italiana del dopoguerra. Fin dal 1962, anno di arrivo dello storico dell’arte Eugenio Battisti, fondatore con Rodolfo Vitone della rivista del gruppo letterario ‘63, Marcatre, e prezioso animatore culturale cittadino, il panorama genovese é caratterizzato dalla presenza di gallerie d’arte private che guardano alle sperimentazioni in atto in Italia, Europa e America. Nascono così la cooperativa del Deposito, porquoi pas, La Polena, La Carabaga, La Bertesca (che ospita nel 1967 la prima mostra sull’Arte Povera a cura di Germano Celant) e nei primi anni Settanta Galleria Forma di Minetti e Rebora, Unimedia di Caterina Gualco e la Saman Gallery diretta da Ida Giannelli. Per un decennio fino al 1975 sono le gallerie che orientano le mostre degli artisti, in molti casi si tratta di prime personali di autori internazionali in Italia. Fino a quel tempo il pubblico, rappresentato dal Comune, si disinteressa delle neo-avanguardie artistiche. Invece quando viene eletto sindaco Fulvio Cerofolini nomina assessore alla cultura il semiologo Attilio Sartori che, fino al 1985, sarà il faro delle politiche culturali genovesi attraverso il coinvolgimento di esperti nei vari campi: arte, cinema, fotografia. La città viene invasa da eventi che occupano spazi in disuso come il Teatro del Falcone, di proprietà statale ma in uso al Comune, vero e proprio centro propulsore di tutte le attività: dai festival di poesia con Fernanda Pivano e Allen Ginsberg fino alle performance dell’americana Joan Jonas, dal festival del cinema off newyorchese, Gergo Inquieto, alle mostre sulle architetture postmoderne. Ma sono anche i musei di Strada Nuova, recuperati da Franco Albini, ad essere sede di mostre soprattutto Palazzo Bianco. Il primo allestimento del Museo allestito dal direttore Guido Giubbini Questa premessa vuole testimoniare quanto la città sia stata aperta alle sperimentazioni artistiche contemporanee e che senza un luogo atto ad ospitarle, il Museo, viene a mancare un tratto distintivo di Genova. Una città che, insieme a Torino e Roma, ha costituito la rete nazionale dell’arte fino dai primi anni Sessanta del Novecento. Oggi c’è il grande rischio che non esista più uno dei suoi punti di riferimento: Villa Croce. Il museo nasce come naturale evoluzione delle centinaia di eventi culturali realizzati sotto la guida politica di Sartori, per costruire una casa dell’arte e promuovere la cultura contemporanea senza la quale il futuro non esiste. Sartori é stato lungimirante, ha immaginato la citta del futuro per lasciare in eredità ai nuovi genovesi un patrimonio che non può essere dissipato con eventi che minano la missione originaria di Villa Croce, come nel caso recente della festa dei tifosi. D’altronde ogni museo nasce per volontà del collezionismo privato, che diventa pubblico proprio perché collocato dentro al museo. Non occorre andare lontano, basta vedere Palazzo Rosso, una dimora privata diventata museo pubblico, ovvero appartenente alla collettività. In questo senso occorre pesare attentamente l’uso delle parole soprattutto da parte di chi ha il dovere di amministrare la città nell’interesse collettivo e non di una parte, salvaguardando il presente e il futuro di Genova. Dunque il problema del Museo di Villa Croce é politico. Le recenti polemiche mettono in evidenza una assenza di strategia e progettualità da parte del pubblico, che va oltre la demagogia dello spoil system. Si assiste al continuo disimpegno della politica e della borghesia (se così la si può ancora chiamare) nell’orientare le scelte di politica culturale genovese. Disimpegno che nasce per un continuo dissolvimento delle risorse umane ed economiche che non vengono conferite al museo. A causa di questo dissolvimento di budget, le amministrazioni comunale Vincenzi e Doria, su impulso delle gallerie, ha dovuto coinvolgere sponsor privati per ottenere i fondi necessari al funzionamento della struttura, come accade in ogni museo del mondo. La selezione del curatore di Villa Croce avvenuta con un bando pubblico ha nominato Ilaria Bonacossa fino al 2016 e nella primavera 2017 Carlo Antonelli é risultato il vincitore senza poter realizzare il suo programma curatoriale. Di fatto l’impossibilità di espletare la propria funzione di curatore determina una scarsa credibilità dell’istituzione pubblica in materia di concorsi, e potrebbe inficiare la partecipazione ad altri bandi dello stesso tipo. Genova in questo periodo storico sta attraversando una crisi politico-culturale senza precedenti e risulta quindi necessario resettare ogni personalismo in favore di una visione ampia sul futuro della città che non può prescindere dal vivere la contemporaneità. Contemporaneità che solo un museo dedicato alle arti visive può garantire nell’interesse collettivo. Questo é il documento inviato alla Commissione Consiliare Promozione della Città indetta dal Comune di Genova per parlare del Museo di Villa Croce a cui sono stato invitato a partecipare. |