Lucia Pierro, Marco Scarpinato. Tra realtà e utopia, l’impegno di Danilo Dolci
Le battaglie per la diga, Archivio Dolci. A venti anni dalla morte di Danilo Dolci, con la manifestazione “Idea e azione: Le opere di Danilo Dolci”, nei giorni 16 e 17 dicembre 2017, l’Ordine degli Architetti della Provincia di Palermo ha scelto di riattraversare i luoghi che furono teatro della sua attività rintracciando gli esiti di un percorso che, oltre ad avere cambiato la Sicilia e in particolar modo la Valle dello Jato, offre tuttora dei validi spunti per operare una trasformazione del presente. La manifestazione è stata articolata mediante un workshop itinerante, una giornata di studi e una mostra. Il workshop “Taccuino di Viaggio. Un percorso disegnato alla riscoperta di Danilo Dolci”, curato dai professori Anna Cottone e Marcello Panzarella, è stato basato sull’uso del carnet di viaggio come strumento per esplorare tre luoghi simbolo dell’attività di Dolci: la Diga sullo Jato, il Centro per lo Sviluppo Creativo di Borgo di Dio e il Centro educativo di Mirto. La giornata di studi, con gli interventi di Valeria Patrizia Li Vigni, Amico Dolci, Franco Miceli, Marcello Panzarella, Giuseppe Carta, Isabella Daidone, Lucia Pierro, Mariano Genovese, Cinzia De Luca e Gianluca Fiusco, ha permesso di approfondire la storia dei luoghi promossi da Dolci e di focalizzare diversi aspetti del suo impegno di promozione sociale, mettendone in luce sia le relazioni tra la dimensione locale e quella internazionale sia il rapporto con altre due esperienze comunitarie realizzate in Sicilia negli stessi anni: il Villaggio Monte degli Ulivi, fondato a Riesi dal pastore valdese Tullio Vinay su progetto di Leonardo Ricci, e il Centro per lo sviluppo sociale di Comunità, fondato a Palma di Montechiaro dal sociologo e sacerdote olandese Salvinus Duynstee. La manifestazione – che ha visto coinvolti anche i Comuni di Partinico e Trappeto, la Proloco Cesarò, il Centro Sviluppo Creativo Danilo Dolci e numerose scuole del territorio – si è conclusa con l’inaugurazione della mostra allestita nell’ex Cantina Borbonica di Partinico comprendente i disegni del workshop, un report fotografico dei luoghi realizzato da Priscilla La Franca, Giancarlo Lunetto e Claudia Sajeva, foto d’epoca e libri. La mostra allestita nell’ex Cantina Borbonica di Partinico, fotografia Lucia Pierro Prima di stabilirsi in Sicilia per dedicarsi all’articolato progetto di rinascita comunitaria che, pur muovendo dalla Valle dello Jato, lo porterà a contatto con diversi protagonisti del dibattito politico e culturale nazionale e internazionale, Danilo Dolci ha studiato architettura decidendo di abbandonare gli studi poco prima della laurea per raggiungere Nomadelfia, il villaggio comunitario in provincia di Grosseto fondato da Don Zeno Saltini per dare ospitalità agli orfani di guerra. Questa formazione ha segnato il suo modo di intendere la trasformazione fisica e sociale dei luoghi, infatti, lasciata Nomadelfia, Dolci nel 1952 si stabilisce a Trappeto, una piccola cittadina in provincia di Palermo, per impegnarsi a combattere quelle condizioni di estrema povertà che, alcuni anni prima, aveva conosciuto raggiungendo questi luoghi al seguito del padre che vi lavorava come capostazione. Uomo di pensiero e azione, Dolci fu sociologo, poeta, educatore e, come lo definì Bruno Zevi, “architetto di uomini” rimanendo sempre consapevole che, per contribuire alla trasformazione democratica dei luoghi e della comunità che li abita, occorre sviluppare le potenzialità creative di ciascun individuo. Per questo si è impegnato a promuovere una cultura democratica partendo dall’educazione di adulti e bambini attraverso la “maieutica reciproca”: un metodo basato sulla comunicazione e il reciproco apprendimento. L’interesse di Dolci per la Sicilia non parte dunque dalla coscienza politica di quella che è solitamente definita “questione meridionale”, ma, piuttosto, s’inquadra nella dinamica che, secondo il suo pensiero, vede ciclicamente ripetersi nella storia una condizione in cui “i potenti parassitano i più deboli”. Proprio per opporsi a questo stato Dolci inizia interrogare i più umili dando avvio a un percorso di analisi collettiva e a un metodo di conoscenza diretta di luoghi fisici e contesti sociali che, col tempo, diventerà strutturale del suo lavoro. Il cortile di Borgo di Dio, fotografia Lucia Pierro Inizialmente, l’attività intrapresa a Trappeto, in contrada Borgo di Dio, è in continuità con l’esperienza compiuta a Nomadelfia, infatti, Dolci raccoglie un primo gruppo di disagiati del luogo e con loro costruisce una prima casa-asilo dove assistere e istruire i bambini più poveri del paese. Parallelamente, Dolci inizia un’indagine sulle condizioni socio-economiche dell’isola con inchieste e ricerche che sono raccolte in opere radicali e polemiche che lo portano alla ribalta nazionale e internazionale attirandogli interesse e, al contempo, odi profondi. Si tratta di opere di denuncia come “Fare presto (e bene) perché si muore“, “Banditi a Partinico“, “Inchiesta a Palermo” e “Spreco“, scritti in cui l’uso delle storie di vita e del racconto in prima persona è lo strumento d’indagine e documentazione delle condizioni degli “ultimi”. In questi lavori l’intreccio tra la biografia, la storia locale e la storia globale restituisce il filo conduttore dell’esperienza dolciana, un modo di guardare e interpretare il mondo in cui non esistono storie maggiori o minori, sapere aulico e sapere popolare ma dove ciascun’esperienza, fatto e parola contribuisce a comporre il mosaico di una realtà complessa. L’attualità dell’esperienza di Dolci è da ricercarsi nell’impegno a trasformare la realtà partendo da un lucido percorso di analisi e conoscenza evitando quindi ogni forma di fuga onirica. Le inchieste condotte da Dolci e il suo modo di immergersi nella realtà lo spingono a definire il ritratto di una Sicilia i cui problemi non scaturiscono dalla mancanza di risorse ma, al contrario, dallo “spreco” colpevole che di esse si fa. Per questo, nelle conversazioni con la gente del luogo, insieme alla rappresentazione di “ciò che è“, Dolci cerca di facilitare la costruzione di un’utopia realizzabile provando a definire “ciò che potrebbe essere” e “ciò che non è ancora”. Non a caso, lo stesso Dolci racconta che, durante uno dei tanti incontri di gruppo, un vecchio contadino ha l’intuizione del grande bacile (bacinella in dialetto siciliano) dove raccogliere le piogge che altrimenti sarebbero andate sprecate in mare. Nasce così la Diga sul fiume Jato: la prima delle grandi utopie collettive promosse da Dolci che sarà realizzata in soli cinque anni dopo una serie di scioperi – tra cui lo sciopero alla rovescia – marce, digiuni, proteste non violente e il grande clamore suscitato dall’arresto per aver aizzato le folle con uno sciopero ritenuto illegale. Dolci parla della Diga sullo Jato come di una leva per il cambiamento strutturale della Sicilia e, difatti, le battaglie per l’acqua sono la prima grande prova dei risultati ottenibili grazie al processo partecipativo messo in atto in Sicilia. La popolazione locale, fino a prima rassegnata a un futuro di mafia e miseria, si fa promotrice di uno straordinario processo di riscatto sociale e, parallelamente, il processo a Dolci ne pubblicizza l’attività richiamando l’attenzione e il sostegno, sia finanziario sia morale, di numerosi intellettuali e attivisti, tra cui tra cui figurano tra gli altri Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Pratolini, Vittorio Sereni, Alberto Moravia, Federico Fellini, Corrado Cagli, Bruno Zevi, Paolo Sylos Labini, Aldo Capitini e Jean Paul Sartre. Grazie alla difesa sostenuta da Piero Calamandrei – con le testimonianze d’intellettuali come Elio Vittorini, Lucio Lombardo-Radice, Norberto Bobbio, Carlo Levi e altri – il processo contro Dolci accende l’interesse nazionale e internazionale sulle condizioni della Sicilia di quegli anni e spinge l’opinione pubblica a interrogarsi sul valore dell’articolo 4 della Costituzione. Com’è noto, Dolci e gli altri arrestati saranno scarcerati perché sono loro riconosciuti “moventi di particolare valore morale” mentre il percorso di realizzazione della Diga costituirà una tappa fondamentale per la crescita dell’intera comunità e permetterà a Dolci di avviare una serie di rapporti e collaborazioni destinate incidere sulle future attività. Nel 1958 Dolci è insignito del “Premio Lenin per la pace” e l’intera somma è usata per fondare a Partinico il “Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione” che, avvalendosi anche dell’aiuto economico di sostenitori sparsi tra l’Italia e l’Europa, estende la sua attività nei comuni di Roccamena, Corleone, Menfi, Cammarata e San Giovanni Gemini. Dolci e i suoi collaboratori lavorano sull’educazione della comunità locale e, nel terreno di Borgo di Dio, accanto alla prima casa-asilo, erigono un capannone di oltre 300 posti, dove, oltre a tenere incontri e assemblee, s’istituisce la prima Università Popolare d’Italia. In questo luogo, nel 1968, è costruito il “Centro di Formazione per la Pianificazione Organica di Borgo di Dio” un complesso che ospiterà incontri volti a promuovere lo sviluppo delle comunità attraverso l’organizzazione di laboratori maieutici messi a punto come pratica educativa attiva che coinvolge adulti e bambini, professionisti, intellettuali e gente comune, trattandoli allo stesso livello, poiché tutti possono contribuire all’interpretazione della realtà e alla risoluzione del problema indagato. Ai seminari saranno coinvolti, tra gli altri, intellettuali come Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Emma Castelnuovo, Clotilde Pontecorvo, Paolo Freire, Lewis Mumford. Il centro educativo di Mirto, fotografia Lucia Pierro Agli inizi degli anni Settanta, la fondazione del Centro educativo sperimentale di Mirto a Partinico costituisce il naturale approdo dell’esperienza di ricerca e azione condotta da Dolci in Sicilia, applicando i temi della partecipazione, della pianificazione dal basso, dell’ascolto e della maieutica reciproca all’educazione scolastica. Il metodo messo a punto da Dolci trova, infatti, una completa applicazione nel processo di realizzazione di questo centro costruito per realizzare – con il coinvolgimento di bambini, ragazzi e famiglie – un’esperienza collettiva di trasformazione delle condizioni sociali, culturali ed economiche del territorio proprio a partire dalla scuola. L’utopia di Mirto è avviata con l’ambizione di un programma che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le fasce di età, contemplando la scuola dell’infanzia, la primaria e la media. Tuttavia, a causa dei problemi economici insorti nel corso della realizzazione, l’esperienza si fermò alle sole fasce dell’infanzia consegnandoci solo uno degli edifici programmati. Sin dalla fase ideativa, il Centro educativo di Mirto rappresenta una “scuola di democrazia” per i partecipanti alle riunioni maieutiche; il primo incontro pubblico si svolge nel Natale del 1970, alla presenza dell’ingegnere Giancarlo Polo e dell’architetto Giovanna Polo-Pericoli, cui è affidata la conduzione del progetto. Seguiranno altri incontri che, supportati da modelli e disegni da discutere con i partecipanti, permettono di registrarne le esigenze raccogliendo suggerimenti utili al perfezionamento del metodo educativo e del progetto architettonico che, in virtù di questo processo, acquista la dimensione di una nuova utopia collettiva. Pur essendo generati nel serrato confronto con la cultura e le specificità locali, i progetti promossi da Dolci sono l’esito di una fitta rete di relazioni con una vasta cultura, di dimensione nazionale e internazionale, la dimensione isolana è, dunque, solo apparentemente ‘isolata’, periferica e marginale. La Diga sullo Jato, il Borgo di Dio e il Centro Educativo di Mirto testimoniano la straordinaria capacità di Dolci nell’attrarre, all’interno di una dimensione locale, temi e dibattiti di portata internazionale con l’obiettivo di avviare un percorso di riscatto volto a trasformare l’emergenza in risorsa e strumento di progetto del futuro. Quello di Dolci fu un lavoro caratterizzato dalla dimensione sociale e politica di un diverso modo di fare architettura e di progettare trasformando l’apparente lontananza dal mondo in nuova centralità e, grazie a un’attitudine che oggi definiremo “resiliente”, con il suo metodo partecipativo i problemi diventarono risorsa e i luoghi attraversati divennero dei centri capaci di attrarre e generare energia creativa. [Lucia Pierro, Marco Scarpinato] 18.1.18 Peer Review EP Lucia Pierro è architetto e Ph.D., dopo la laurea in Architettura all’Università di Palermo, consegue un master in Restauro architettonico e recupero edilizio, urbano e ambientale presso la Facoltà di Architettura RomaTre e un dottorato di ricerca in Conservazione dei beni architettonici al Politecnico di Milano dove sviluppa una tesi dedicata ai luoghi di Danilo Dolci in Sicilia. Marco Scarpinato è architetto e Ph.D. laureato all’Università di Palermo, dove si è successivamente specializzato in Architettura dei giardini e progetto del paesaggio presso la Scuola triennale di architettura del paesaggio dell’UNIPA. Dal 2010 svolge attività di ricerca all’E.R. AMC dell’E.D. SIA a Tunisi. Vive e lavora tra Palermo e Amsterdam. Nel 1998 Marco Scarpinato e Lucia Pierro fondano AutonomeForme | Architettura con l’obiettivo di definire nuove strategie urbane basando l’attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e la collaborazione interdisciplinare. Il team interviene a piccola e grande scala, curando tra gli altri progetti di waterfront, aree industriali dismesse e nuove centralità urbane e ottenendo riconoscimenti in premi e concorsi di progettazione internazionali. Hanno collaborato con Herman Hertzberger, Grafton Architects, Henning Larsen Architects e Next Architect. Nel 2013 vincono la medaglia d’oro del premio Holcim Europe con il progetto di riqualificazione di Saline Joniche che s’inserisce nel progetto “Paesaggi resilienti” che AutonomeForme sviluppa dal 2000 dedicandosi alla sostenibilità e al riutilizzo delle aree industriali dismesse con progetti a Napoli, Catania, Messina e Palermo. Marco Scarpinato e Lucia Pierro scrivono per «Il Giornale dell’Architettura» dal 2006, inoltre dal 2000 sviluppano il progetto di ricerca “Avvistamenti | Creatività contemporanea” e curano l’attività di pubblicistica attraverso la piattaforma Plurima. |