Laura Manione. Viridis. Declinazioni fotografiche del verde
Viridis, nella lingua latina, traduce l’aggettivo verde nel suo significato “cromatico”, mentre, in quello traslato, rimanda al vigore e alla frescura restituiti dalla natura. Declinato nei casi dativo e ablativo, virdis si trasforma in viridi, vocabolo preso in prestito per il titolo della mostra allestita nelle sale del Museo del Fiore e della Palazzina Pedriali di Sanremo. Senza volersi dilungare in questioni grammaticali, è comunque utile ricordare che il dativo esprime il complemento di termine, ovvero il complemento che indica a chi o a cosa è diretta un’azione, mentre l’ablativo è generalmente riconosciuto come un caso in grado di interpretare un’ampia varietà di complementi. Due casi non casuali, per riassumere il tutto in un calembour. ©Simone Barbagallo, 100km, 2016 -2017 Il verde, per i fotografi e gli artisti che partecipano all’esposizione, è infatti, al contempo, il destinatario, il principio, lo strumento, la causa, lo stato in luogo (nel caso di Sanremo, il genius loci) del proprio lavoro. Interpreta una pluralità di intenzioni e significati ed è declinato da una pluralità di sguardi. Verde – viridi, sguardi – iridi. Iridi, parola che definisce e conserva le parti più identitarie e identificative del nostro occhio. Iridi dai quali il diaframma della fotocamera ha preso forma e funzione. Il verde, qui, non è perciò il pretesto per approdare a raffigurazioni didascaliche di natura, giardini o fiori. È invece il referente con cui ciascun autore ha una connessione fisica e/o concettuale irrinunciabile. È sintomo di urgenze espressive differenti e fortemente individuali che, pur guardando al vasto e imprescindibile repertorio iconografico a soggetto botanico, non possono essere demandate alle cosiddette “maniere”, né costrette in formati o soluzioni tecniche standardizzati. Il tema della mostra, così ampio nelle sue accezioni, svela dunque allo spettatore le coordinate per rintracciare itinerari unici e addentrarsi in territori non solo squisitamente fotografici, ma anche intimi, culturali, etici. La fotografia riflette sul mistero della vita racchiuso in quella forza rigeneratrice della natura celebrata dal lavoro di Gabriella Martino, impone di guardare in faccia la morte attraverso la presenza luttuosa del fiore reciso trasfigurato da Efrem Raimondi o attraverso gli struggenti mazzolini artificiali censiti da Simone Barbagallo sui luoghi degli incidenti stradali. La fotografia si spinge, insieme con Giuseppe Piredda, nella quotidianità di abitazioni ingentilite da un vaso di fiori o svela, con la delicatezza che contraddistingue Giusi Bonomo, un’interiorità fatta di visioni minimali, sussurrate. © Giuseppe Piredda, Lonely Flowers, post 2000 La fotografia è “elastica”: può isolare porzioni di verde o trasportarlo su larga scala. Il particolare botanico solido e cristallizzato, messo in contrapposizione con la liquidità del mondo virtuale, si inscrive dentro la geografia personale di Stefano Ghesini Salvadori, oppure, in Mem-Brains di Clara Turchi, è elemento ripetuto che va a scalfire l’emulsione/membrana sensibile della carta fotografica. Piante e rose, coltivate in cattività e tradite dall’insensibilità umana, esibiscono le ferite inferte da una potatura insensata e drastica nei dittici realizzati da Chiara Ferrin o consegnano la loro ultima e disperata fioritura alle fotografie struggenti di Ferruccio Carassale. © Luca Prestia, Libereso Guglielmi: il giardino di Calvino, 2015 Di contro, su un piano sociale e social, il verde diventa ripensamento della nozione di “isoflora” nell’indagine corale condotta dai componenti di CROP Collective e si fa narrazione condivisa nella raccolta Nature estratta dal blog fotografico omni-comprensivo “Alma Photos” di Matteo Scarpellini e Alessandro Viganò. La fotografia sa misurare distanze morali. Lontano è l’uomo negli Still Life formalmente ineccepibili e austeri di Paolo Minioni, mentre vicino fino a esser consustanziale alla natura è Libereso Guglielmi, giardiniere di Italo Calvino, protagonista sanremese del racconto fotografico di Luca Prestia. La fotografia riporta il verde negli ambienti in cui ha trovato casa. Così, in chiusura di percorso, la città ligure che ospita la mostra ritorna nei progetti di Roberto Bianchi, Attilio Carnevali, Andrea Franci, responsabili di Sanremo Photo Academy. Tre ricerche svolte in loco, negli splendidi e storici parchi pubblici, ai piedi di alberi secolari e all’interno dei laboratori dell’Istituto Sperimentale per la Floricoltura. In sintesi, il proposito di Viridi. Declinazioni fotografiche del verde è quello di invitare gli spettatori a considerare la fotografia come un mezzo in grado di moltiplicare l’approccio a un tema unico e largamente condiviso. Considerare la fotografia, riconoscendo nella sua versatilità – e finanche nella sua ambiguità – il requisito necessario a superare visioni preconfezionate e a contrastare ogni altra pretesa di certezza con l’intelligenza del dubbio. Sabato 28 ottobre 2017 alle ore 11, a Sanremo, nelle sale del Museo del Fiore e della Palazzina Pedriali, sarà inaugurata la mostra Viridi. Declinazioni fotografiche del verde, organizzata da Sanremo Photo Academy e curata da Laura Manione nell’ambito della prima edizione della rassegna Spazivisivi. L’esposizione che si avvale del patrocinio della Regione Liguria, della Provincia di Imperia e del Comune di Sanremo, resterà aperta al pubblico fino a domenica 19 novembre e presenterà i lavori di fotografi e artisti che usano la fotografia per indagare il concetto di botanica e di verde. Il verde declinato attraverso una pluralità di sguardi, non è il pretesto per approdare a raffigurazioni didascaliche di natura, giardini o fiori. È invece il referente con cui ciascun autore ha una connessione fisica e/o concettuale irrinunciabile. In mostra, opere di Alma Photos, Simone Barbagallo, Giusi Bonomo, Ferruccio Carassale, Crop Collective, Chiara Ferrin, Stefano Ghesini Salvadori, Gabriella Martino, Paolo Minioni, Giuseppe Piredda, Luca Prestia, Efrem Raimondi, Clara Turchi e – per Sanremo Photo Academy – Roberto Bianchi, Attilio Carnevale e Andrea Franci. |