Emanuele Piccardo. Incolto
Incolto è il terreno abbandonato a se stesso per vent’anni in cambio dei dollari dei giovani americani a cui molti abitanti delle cinque terre affittavano e affittano camere, cantine, appartamenti. In questo modo si abbandona la campagna, sinonimo di fatica, non si costruiscono più i muretti a secco e non si ripristinano quelli esistenti. Fatto ancor più grave è l’appartenenza dei territori alluvionati, tra Vernazza e Monterosso, al Parco Nazionale delle Cinque Terre. Incolto è il politico che non sa amministrare e che afferma di fronte ad un evento ciclico “non abbiamo colpe”. Una città come Genova, già teatro di un’alluvione tragica nel 1970, che nel tempo le varie giunte di centro-sinistra hanno amministrato, bene e male a singhiozzo, si trova ora in difficoltà per l’assenza di un progetto urbanistico (in discussione il PUC con la consulenza di Renzo Piano), per l’assenza di un assessore all’urbanistica (la delega è assunta dalla Sindaco non certo una esperta in materia), per l’assenza di un progetto di difesa del suolo, per l’assenza di una capacità a organizzare, in presenza di un allerta meteo, la chiusura delle scuole. Incolti sono i dirigenti scolastici che non redigono piani di evacuazione per alluvioni, terremoti e incendi e costringono, come nel caso raccontato da Luca Dolmetta nel blog del giornalista Marco Preve, genitori e alunni a pericoli che una società consapevole non dovrebbe mai correre. Incolti sono quei giornalisti e quegli ambientalisti (vedi Fulco Pratesi) che non conoscendo la topografia genovese sparano stupidaggini in televisione usando parole come cementificazione che non hanno nessun significato se non vengono contestualizzate storicamente. L’esondazione del torrente Fereggiano non è dovuta a nessuna speculazione come la conosciamo oggi, in quanto il tombinamento della maggior parte dei torrenti risale al progetto della Grande Genova, attuato dal Fascismo nel 1926;ciò ha determinato la copertura del Bisagno per la costruzione di Viale Brigate Partigiane che conduce alla zona della Fiera del Mare. Incolto il cittadino che si muove nella città mettendo a rischio la propria vita e quella degli altri sottovalutando la forza della natura. Occorre ripensare il modo in cui abitiamo il territorio costruendo meno edilizia e meno speculazione e più architettura. Un’architettura che possa migliorare le condizioni di vita delle persone e non peggiorarle, un’architettura non figlia del profitto ma come scrivevano Alison e Peter Smithson “come modo di vivere”. Solo ripensando il presente si potrà immaginare un futuro migliore ritornando ad un modello di sviluppo economicamente ed energicamente più sostenibile che eviti catastrofi artificiali. Per raggiungere questo obiettivo, come stanno facendo già alcuni architetti, tra cui l’italiana Anna Rita Emili e la sua Bunker House, occorre progettare case che siano in grado di resistere alla forza della natura come le improvvise alluvioni e i terremoti. Ma il cambiamento non riguarda solo i progettisti ma soprattutto i legislatori, gli urbanisti(il cui ruolo, nonostante l’attivismo dell’INU, è nullo e sostituito dall’immobiliarista) i politici e in misura maggiore i cittadini che devono cambiare mentalità e abitudini. Si deve innescare dalla crisi del nostro sistema paese una rivoluzione culturale che determini la nascita di uno STATO maturo (non nell’età dei suoi abitanti). |