Frame da L’avventura di Michelangelo Antonioni (1960)
La morte di Tonino Guerra, avvenuta lo scorso 21 marzo, ha segnato indelebilmente il cinema italiano. Con Ermanno Olmi, Francesco Rosi, Paolo e Vittorio Taviani, Giuliano Montaldo, Ettore Scola, Carlo Lizzani, Ugo Gregoretti e pochi altri ancora, Guerra costituiva la colonna portante, la memoria storica della nostra cinematografia degli anni Sessanta e Settanta, tutt’oggi tra le più apprezzate e studiate al mondo.
Quando si parla dell’opera dello scrittore romagnolo è inevitabile non constatarne il filo conduttore: la memoria, come dimostrano i primi versi scritti durante la prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf, quando Guerra inizia a lavorare sui ricordi per «imbrogliare la dura vita», fermandoli sulla carta dei suoi scarabòcc (pubblicati poi nel 1946), attività mai interrotta, ma affiancata dal 1952, a quella di romanziere.
“Quést l’è al murài/ e quést l’è i scarabócc/ ch’a féva da burdèl/ se calzinàz,/ da mén da ch’ò tachè/ andè dri me braz/ par fè una réiga lònga/ e quèlch invrócc.// Quést l’è al murài/ e quést l’è i scarabócc.” (1)
Si mostrano già esemplificativi i tratti del suo lavoro: l’uso del dialetto (lingua legata al passato, a una tradizione popolare che il fascismo aveva cercato di cancellare, con i primi tentativi di omologazione culturale del Paese), e appunto la memoria, intesa come coscienza del proprio essere uomo, del passato e, di conseguenza, del presente.
Nel 1953, spinto dai primi successi e stimolato dai fermenti dell’ambiente culturale romano, Guerra si trasferisce nella capitale dove, frequentando il pittore Lorenzo Vespignani, incontra Giuseppe De Santis, debuttando con lui alla sceneggiatura nel 1957 con Uomini e lupi, melodramma folcloristico sui “lupari” abruzzesi, che riprende quegli elementi della cultura contadina che lo scrittore aveva dimostrato di padroneggiare già nei suoi scritti. Nasce così un’intensa attività collaborativa coi più grandi registi italiani coevi, che rende presto il giovane autore uno degli sceneggiatori più richiesti e conosciuti, anche nel panorama internazionale.
Il 1960 segna l’inizio del sodalizio con Michelangelo Antonioni, per cui scrive tutti i film da L’avventura (con lo stesso regista e Elio Bartolini) fino all’episodio di Eros (Antonioni, Steven Soderbergh, Kar Wai Wong, 2004), eccezion fatta per Professione: reporter (1975). All’autore ferrarese seguiranno, tra i tanti, Elio Petri (L’assassino del 1961, La decima vittima del 1965), Vittorio De Sica (Matrimonio all’italiana del 1964, I girasoli del 1970), Mario Monicelli (Casanova ‘70 del 1965, Caro Michele del 1976), Rosi (Uomini contro del 1970, Il caso Mattei del 1972, Cadaveri eccellenti del 1976, Cristo si è fermato ad Eboli del 1979) e i fratelli Taviani (La notte di San Lorenzo del 1982, Kaos del 1984). Ma è con Federico Fellini che Guerra ha la possibilità di esprimersi nella maniera più personale e toccante.
Mischiando reale e onirico E la nave va (1983) si fa metafora della deriva culturale del Paese/nave, su cui i passeggeri viaggiano ignari e distratti, rievocando i fasti di un tempo andato, mentre Ginger e Fred (1986) si fa polemica riflessione sul mezzo televisivo e sulla perdita di valore del passato, in favore di un umiliante quanto fagocitante presente di cartapesta e lustrini. È Amarcord (1973) però a segnare la vetta della collaborazione tra i due artisti. Nel rievocare la loro infanzia, fatta di piccole cose, esperienze e strambi personaggi, Fellini e Guerra realizzano, con un’inimitabile suggestione poetica, un affresco nazional-popolare legato a un mondo e a un tempo ormai inevitabilmente scomparsi, ma vivi e presenti nei ricordi di chi li ha vissuti.
Oltre i grandi nomi del cinema italiano, dagli anni Ottanta, molti registi internazionali si rivolgono all’ormai noto sceneggiatore per i propri lavori. Tra questi Andrej Tarkovskij (Tempo di viaggio e Nostalghia, entrambi del 1983), Wim Wenders (Al di là delle nuvole, 1995) e Theo Angelopulos. Con quest’ultimo in particolare nasce un sodalizio che dà vita a molti progetti incentrati sulla coscienza storica personale e collettiva, come Il passo sospeso della cicogna (1991), Lo sguardo di Ulisse (1995), L’eternità e un giorno (1998), La polvere del tempo (2008).
Pur potendo considerare, come si è visto, la produzione dell’autore romagnolo un discorso unico intorno ai temi della memoria e della nostalgia, paradossalmente ciò che meglio esprime la sua poetica non è uno dei tanti scritti, bensì l’Orto dei frutti dimenticati, una sorta di museo a cielo aperto realizzato a Pennabilli nel 1990, che raccoglie una vasta collezione di alberi da frutto tipici della tradizione contadina ormai in via d’estinzione, perché non più coltivati.
In questo gesto di salvaguardia di una cultura ormai dimenticata si racchiude il lavoro e l’impegno di Tonino Guerra, il suo amore e rispetto per ciò che è stato prima, tesoro ora inestimabile per l’uomo contemporaneo, un giardino – o meglio un orto – da proteggere e curare, libero però di essere attraversato dal e nel futuro.
(1)“Questo è il muro/ questi gli scarabocchi/ che facevo col gesso da bambino/ quando ho imparato/ a seguire il braccio/ per fare una riga lunga e qualche svolazzo.// Questo qua è il muro/ questi gli scarabocchi.” (T. Guerra, I scarabòcc, F.lli Lega, Faenza 1946).
[Lapo Gresleri]