Luca Mori. Per un’etica dell’architettura
Esiste un interessante libro di architettura edito nel 1971 dalla Academy ad opera di Jim Burns dal curioso titolo “Arthropods: New Design Futures”. Esso offre una panoramica dell’architettura emergente dell’epoca attraverso suggestive riproduzioni in bianco e nero, tra cui anche gli appunti-collage di Cedric Price dal titolo “Aims for the ‘70’s”, efficace documento grafico ed intellettuale. Alla voce “Artropodi” di Wikipedia leggiamo:“Gli Artropodi (Arthropoda, Latreille 1829) sono un phylum di invertebrati protostomi celomati che comprende circa i 5/6 delle specie animali finora classificate (2005). Mostra una notevolissima affinità anatomica con gli Anellidi. Il fatto che abbia generato oltre un milione di specie dimostra come la sua struttura di base sia versatile e adattabile a diversi modi di vita. Sono caratterizzati da un esoscheletro, segmentazione di tutto il corpo, appendici articolate ed una bocca.” E’ la “membrana”, l’involucro organico strutturalmente governato da leggi geometriche vicine a quelle della natura che è anche la metafora dello “spazio liberato” dai preconcetti della rappresentatività sociale e quindi democratico ed aperto, simbiotico e fluido, catalizzatore dell’evento e della performance del corpo. Essa si prende carico di un apparato concettuale che nella storia del progetto contemporaneo è ricorrente a partire dalla Bauhaus ed attraverso mutazioni più o meno esplicite giunge sino a noi. Si potrebbe forse fare una storia dell’architettura a partire dalle forme ideali e paradigmatiche che l’hanno percorsa. Per essere coerenti con una impostazione ecologista dobbiamo chiederci se innanzitutto le idee che nel corso della storia si ripresentano a discapito di altre che si estinguono rispondano ad una legge evoluzionista. La forma è una differenza, è un limite, un confine che si determina come segno nell’interazione con il contesto, con l’ambiente appunto. Sempre Bateson, a proposito del concetto di unità di sopravvivenza che egli estende al mondo delle idee e delle forme, scrive: “Insieme con un organismo flessibile, si deve considerare anche un ambiente flessibile, poichè, come ho già detto, l’organismo che distrugge il suo ambiente distrugge sè stesso. L’unità di sopravvivenza è il complesso flessibile organismo-nel-suo-ambiente”. Un’immagine particolarmente emblematica del libro è l’Instant City degli Archigram, laddove un dirigibile si posa sopra Town Hall e ricopre con una tensostruttura una parte di città, sovrapponendo la propria matrice di servizi e suggestioni visuali al pattern urbano esistente determinando così un mutamento “in progress”. Cosa c’era in questo immaginario se non la volontà di riformare le discipline del progetto in termini di maggiore apertura, flessibilità del processo produttivo, partecipazione creativa ed adattabilità all’ambiente? Quasi un manifesto del pensiero ecologista. L’architetto dovrebbe quindi svincolarsi dall’immaginario macchinista e determinista che ha ereditato dalle avanguardie del ‘900 per assumere un atteggiamento aperto e probabilistico, fatto di relazioni ed adattamenti ad una realtà urbana molteplice ed in evoluzione. Si tratta quindi anche di cambiare le “parole del discorso”. Nell’interessantissimo “The metapolis dictionary of advanced architecture” di Manuel Gausa, Vincente Guallart, Willy Muller, Federico Soriano, Fernando Porras, Josè Morales Jean Louis”, Actar, Barcellona2003,( pp 687) questo passaggio concettuale da Metropolis (la città industriale) a Metapolis (la città dell’informazione)è evidenziato a livello delle parole:
La Metapolis così definita in quanto organismo evolutivo governato da flussi di informazione sposa bene il concetto di membrana attorno al quale si snoda questa riflessione, e ci porta da un progetto di architettura che tradizionalmente è concepito come rappresentazione vuoi dell’ego del progettista o di una compagine sociale ad un processo creativo di molti e che quindi può essere, estremizzando, senza autore, caratterizzato da un’adattabilità al contesto sociale e naturale che lo rendono eminentemente ecologista. “All’interno dei modelli urbani emergenti, le dialettiche centro-periferia esterno-interno lasciano il posto a sistemi policentrici e non gerarchici, sistemi di reti o rizomi, più capaci di operare efficacemente in sistemi instabili. La città è costruita su linee di movimento o di connessione, più topologicamente che geometricamente” (Francesco de Luca). Questa “democrazia della rete” e quindi questa “membrana software” può innescare un meccanismo virtuoso di salvaguardia ambientale e partecipazione al progetto della città del futuro, al di là dello star-system imperante? C’è poi il problema non indifferente del gap tecnologico che caratterizza il mondo dell’edilizia rispetto alle altre realtà produttive avanzate. Il modo di costruire le case è pressoché immutato negli ultimi 40 anni, specialmente in Italia dove si è gestito l’abitare ed il costruire in modo fondamentalmente conservatore, e sono mancate quelle sinergie tra industria ed amministrazione in termini di partecipazione e di autocostruzione. Esistono comunque segnali incoraggianti di cambiamento. Il processo del costruire grazie ai dispositivi digitali ha aumentato i propri apparati di controllo e di feedback dalla produzione; la crescita esponenziale delle capacità di calcolo ha esteso il campo delle forme possibili ed ha quindi determinato un’estetica non lineare svincolata dalla geometria euclidea. Con i processi a controllo numerico si supera il concetto di standard e si rende economicamente possibile un livello sempre più alto di personalizzazione. La compagine ecologista è in larga parte caratterizzata da un atteggiamento allarmista, esortativo, propagandista che secondo me può essere ingiustificato ed oggetto di strumentalizzazione. Infatti una parte dei partecipanti al dibattito sul clima fa rilevare che i mutamenti climatici non sono una cosa recente ed il comportamento irresposabile dell’uomo a partire dall’era industriale ha solo accelerato un processo che era già in atto. Secondo Richard Ingersoll avere una responsabilità riguardo l’ambiente significa non tanto escogitare dei mezzi per risolvere una situazione di emergenza ma imparare a convivere nel migliore dei modi con una situazione “entropica” che è cosmologica più che biologica. Ecologia oggi significa anche integrazione culturale e rispetto degli equilibri, promozione delle fonti di energia alternative e ottimizzazione degli sprechi. Il modernismo funzionalista procedeva promuovendo i concetti con la forma riducendo però gli aspetti della vita ad un diagramma: questa posizione è stata superata. |