Emanuele Piccardo. Sisma in Emilia, niente di nuovo

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E’ passato un anno dal sisma che ha colpito l’Emilia Romagna ma la situazione è grave. Oltre cento ordinanze emesse dal commissario per la ricostruzione Vasco Errani, un Piano per il 2013-2014 di 530 milioni per beni culturali, scuole e università, dimostra come la politica sia più attenta alla quantità anziché alla qualità degli interventi. Ricostruzione lenta (gran parte della popolazione costretta ancora in strutture temporanee inadeguate), senza un progetto che ricostruisca quei luoghi in cui i cittadini ritrovano la loro identità urbana. Interventi in deroga ai Piani regolatori, bandi di realizzazione di alloggi ed edifici pubblici temporanei, affidati a imprese e cooperative, senza scorporare, innovando la burocrazia, la progettazione dalla costruzione. Ciò accade in quella regione di centrosinistra (non il centrodestra abruzzese) nota per essere stata all’avanguardia nelle politiche del recupero dei centri storici attuata da Pierluigi Cervellati.
Le associazioni ambientaliste come Italia Nostra sottolineano, in un documento del gennaio 2013, le incongruenze tra parole e fatti della politica. “Il piano della ricostruzione è dato ai comuni per l’attuazione di interventi che dei centri storici negano con tutta evidenza la speciale natura e dunque si pongono in assoluto contrasto con i principi conservativi di cui sono invece espressione i vigenti piani regolatori. Costituisce infatti il plateale scardinamento della cultura del recupero e del restauro urbano la previsione (legge regionale 16/2012 art.12) che “il piano può disciplinare interventi di modifica della morfologia urbana esistente, attraverso interventi di demolizione e ricostruzione con variazione delle sagome e dei sedimi di ingombro”.
In questo modo si autorizza una deregolazione urbanistica senza un progetto, consentendo una eclettica e pittoresca ricostruzione di edifici pubblici e privati, espressione di archi e colonne delle villette geometrili, così amate da Luigi Ghirri, ma che tanto danno hanno creato al territorio in relazione a quelle straordinarie architetture rurali costruite nel vuoto della pianura, oggi un cumulo di macerie. La ricostruzione, invece, deve passare attraverso una rilettura del tessuto storico per proporre, con un linguaggio più adatto al nostro vivere quotidiano, vere e proprie architetture. Invece assistiamo al trionfo dell’edilizia più volgare, per l’assenza di cultura architettonica che colpisce politici, tecnici e cittadini (anello debole che subisce le decisioni). Con il risultato che una catastrofe poteva rigenerare una economia locale e nazionale in ginocchio, affidando a piccoli e medi studi di progettisti, architetti in particolare, la riprogettazione di edifici e spazi pubblici, il restauro di chiese e monumenti, garantendo una maggiore qualità degli interventi. Separando le competenze tra chi fa lo strutturista, l’urbanista, il progettista e il direttore dei lavori, invece ogni professionista: ingegnere, ingegnere-architetto, architetto, geometra, si attribuisce compiti non suoi. La causa va ricercata nella formazione universitaria inadeguata che produce professionisti omologhi senza diretto contatto con la realtà del costruire, culturalmente impreparati, e corsi di laurea simili e concorrenziali tra loro.

Si celebra, così, nel silenzio degli ordini professionali, la morte dell’architettura impedendo ai giovani progettisti (definizione che in Italia vale per gli over 50) la possibilità di realizzare un’opera pubblica.

Recentemente Il Giornale dell’Architettura ha titolato “Anche la ricostruzione può essere distruttiva” introducendo lo speciale Emilia curato dal ricercatore Matteo Agnoletto che evidenzia, “un modesto servilismo professionale” con “il ruolo dell’Università (nonostante l’Emilia abbia ben tre scuole di architettura a Parma, Ferrara e Cesena) relegato a margine e mai completamente avallato dalla Regione”. Con l’esperienza emiliana si chiude un’altra occasione mancata per la politica di attuare un cambio di rotta nella gestione del post-disaster, in funzione di logiche di affidamento di incarichi opache, testimoniando come le differenze tra schieramenti si annullino. D’altronde le ribellioni dei territori non sono ascoltate e non riescono ad incidere per attuare nuovi modi di fare politica, meno elitaria e più vicina ai bisogni dei cittadini.

[Emanuele Piccardo]