Emanuele Piccardo. Architetture per la catastrofe
Il progetto “Architetture per la catastrofe” è nato a partire dalle riflessioni teoriche del numero tematico “Disaster” di archphoto 2.0, in cui si analizzava il rapporto tra l’architettura e la catastrofe, con l’obiettivo di adottare strategie progettuali per risolvere il problema dell’alloggio provvisorio post-catastrofe, nella fase intermedia tra le tende e la ricostruzione. Ho organizzato, insieme alla Fondazione Ordine Architetti di Torino, con la sponsorizzazione tecnica dell’azienda Gandelli House, un workshop di progettazione tenuto da Anna Rita Emili/altro_studio, definendo una serie di modalità: progettuale, urbanistica e politica prendendo spunto anche dalle regole dettate dalla protezione civile americana (FEMA) adattandole al contesto italiano. Regole che guidano il cittadino prima, durante e dopo l’evento catastrofico, diversamente da quanto indica la Protezione Civile italiana. Infatti, confrontando il sito internet della Protezione Civile Italiana con quello della consorella americana inerente l’emergenza dell’alluvione, nel primo caso, in una pagina si esauriscono le istruzioni come “ascolta la radio guarda la televisione per apprendere eventuali avvisi di condizioni meteorologiche avverse”, “chiudi il gas” “avere a disposizione una torcia”, insomma regole di buon senso. Quando, però, si scorrono le fasi dell’emergenza nel capitolo che riguarda il “Dopo” la prima regola è così spiegata: “raggiunta la zona sicura, presta la massima attenzione alle indicazioni fornite dalle autorità di protezione civile, attraverso radio, TV e automezzi ben identificabili della protezione civile”. Il vero problema è che la maggior parte dei cittadini non sa quale comportamento adottare durante lo svolgersi di una catastrofe naturale, in quanto non vengono fatte ne esercitazioni ne prevenzione per educare i cittadini. Nel sito della FEMA alla voce flood si consultano Before, During, After, Flood Insurance, Spring Flooding. In Before viene visualizzata una mappa delle aree geografiche soggette al rischio dell’alluvione, le cause, le regole per guidare l’auto durante il fenomeno. Nella sezione During, invece, vengono definite le procedure per proteggere se stessi e i propri immobili ma la vera sorpresa è in After. Qui i cittadini sono invitati, attraverso un manuale redatto dalla Croce Rossa, Repairing your flooded home, a fare le prime riparazioni per rendersi indipendenti dai soccorsi in modo che non venga distolta l’attenzione verso coloro che necessitano, maggiormente, di aiuto, ma soprattutto di far capire che lo Stato federale non è il padre che ti accompagna in ogni istante della tua vita come accade in Italia. E’ possibile, inoltre, attraverso il National Flood Insurance Program, individuare l’agente assicurativo per stipulare contratti contro i danni da catastrofe. Per non parlare delle indicazioni dettagliate fornite per difendersi dagli altri natural disasters come uragani, terremoti, tornado, tsunami, incendi, desertificazione. Insomma il confronto ci vede soccombere, nonostante l’Italia sia un paese con terremoti e alluvioni sempre più frequenti, dovrebbe aver sviluppato strategie di prevenzione e di azione da molto tempo, ma così non è. La causa va ricercata nell’assenza di una politica di gestione dell’emergenza senza prevenzione, senza educazione civica sulla catastrofe, senza un impegno diretto degli architetti nel progettare alloggi per l’emergenza o in grado di resistere ai fenomeni naturali. Purtroppo le inadeguatezze di Protezione Civile,architetti e cittadini vanno ascritte all’assenza di una cultura del disastro. La mancanza di quella tensione di temporaneità e nomadismo, propria del popolo americano non ci appartiene, ancorati come siamo alle famiglie e al feticismo nei confronti delle case di proprietà. In questo senso la catastrofe prima di tutto è una questione culturale. Una catastrofe va conosciuta e si devono sistematizzare le problematiche che essa causa, per fare esperienza e ridurre al minimo le perdite di vite umane. Insomma occorre una progettualità ad ampio raggio e non solo una risoluzione militaristica dei problemi con l’uso di tende e spazi buoni per l’Afganistan ma non per comunità di anziani e bambini. In questo senso il ruolo degli architetti è centrale nell’affrontare il problema dell’alloggiamento post-disastro, per queste ragioni che Anna Rita Emili e Barbara Pellegrino di altro_studio, a partire dagli esiti del workshop hanno progettato tre moduli M1, M2, M3, varianti in base ai differenti nuclei famigliari per 1-2 persone, 2-3 e 5 persone. Di questi tre moduli l’M2 è stato portato alle estreme conseguenze, ovvero la realizzazione di un prototipo in scala 1:1. All’interno del workshop, a partire da un sistema di alloggi modulari basati sul modulo quadrato 4×4 (questo genera un modulo base alloggio+patio di 8×4) si sono generate unità abitative di diverso taglio in relazione ai nuclei famigliari. altro_studio, progetto prototipo M2 Si sono studiate, all’interno del parco torinese Colonnetti, quale possibile area di sfollamento della popolazione in caso di catastrofe ambientale, le configurazioni urbanistiche per l’insediamento di 1000, 5000 e 8000 abitanti con standard urbanistici, in regime di emergenza, pari a 20mq/abitante (contro i 25mq/abitante in situazioni normali). È stato verificato che la configurazione ottimale per mantenere una elevata qualità abitativa sia quella da 5000 abitanti, mantenendo servizi come verde pubblico, parcheggi, e strade per l’accesso dei mezzi di soccorso. L’alloggio, concepito con la struttura portante in legno, assolve alle funzioni di facilità di montaggio (il 50% degli alloggi è pensato per essere realizzato in autocostruzione da squadre di operai non specializzati che si formano nei campi di accoglienza degli sfollati), modularità, sostenibilità (attraverso l’inserimento del patio-serra) e adattabilità alle esigenze dei fruitori. In contemporanea si è studiato il modo per comunicare ai cittadini e agli amministratori una procedura di azione, attraverso due guide distinte, la prima per il cittadino, pensata in forma di pieghevole, la seconda come un quaderno di istruzioni all’amministratore pubblico o al tecnico.
Per la prima volta il sistema di alloggi è stato progettato non come un fatto casuale che impone una disposizione disordinata sul territorio, come è accaduto in Italia, dall’Irpinia all’Emilia, bensì studiando una progettazione urbana in modo che gli alloggi formino un piccolo quartiere orizzontale, con l’inserimento di funzioni pubbliche. In questo modo si cerca di ricreare quegli spazi pubblici urbani riconoscibili dai cittadini come piazze, spazi per l’educazione e la preghiera, ecc… In occasione del Festival dell’Architettura in Città presenteremo il 30 maggio alle ore 16 alle OGR (Sala Duomo) di Torino il prototipo realizzato da Gandelli House in scala 1:1, attraverso una conferenza dal titolo Interverranno: Emanuele Piccardo, critico di architettura e coordinatore del workshop Al termine Ferdinando Gandelli e i componenti di altro_studio condurranno una visita al prototipo. In questa occasione verranno distribuite due guide, una per il cittadino e l’altra per l’amministratore, che li accompagneranno nelle azioni da perseguire prima e dopo l’evento catastrofico. |