Stefano Guidarini. Incroci committenti-architetti ad Arenzano

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Marco Zanuso, Casa Leto di Priolo 1961, fotografia di Filippo Romano

Tra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta (cioè prima del Sessantotto), si era instaurata una profonda e singolare sintonia tra un gruppo di progettisti dell’alta borghesia milanese e i loro committenti, facenti parte di una classe imprenditoriale in piena ascesa economica e sociale. Questa comunanza d’intenti era

basata principalmente sulla condivisione dello stile di vita e, più in generale, del gusto, inteso in questo caso come un’espressione culturale condivisa da un determinato gruppo sociale, secondo la definizione che ne diede Lionello Venturi (1). L’intento comune era quello di proporre nuove coerenze tra la dimensione abitativa e le istanze della modernità, cercando di considerare l’importanza dell’uomo prima ancora del cliente, come aveva anticipato Gio Ponti all’inizio degli anni Quaranta(2), e tentando di porre «il gusto al servizio della tecnica», come aveva osservato Ernesto N. Rogers quasi vent’anni dopo (3).  Nel 1956 Ignazio Gardella e Marco Zanuso ricevettero l’incarico di realizzare un piano di sviluppo immobiliare della pineta di Arenzano e delle aree limitrofe del promontorio, per un insediamento turistico di circa 10.000 abitanti su un’area di grande pregio paesaggistico (4). Lo scopo era quello di realizzare un luogo di vacanza immerso nel verde e di esportare un vero e proprio stile di vita, quello dell’alta borghesia milanese, principale destinataria iniziale dell’operazione. Non a caso gli altri progettisti che in seguito sarebbero stati coinvolti erano alcuni tra i migliori interpreti del gusto della classe emergente del capoluogo lombardo: oltre a Gardella e Zanuso, anche Vico Magistretti, Luigi Caccia Dominioni, Roberto Menghi, Anna Castelli Ferrieri e Gio Ponti.

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Marco Zanuso, Casa Cattania 1961, fotografia di Filippo Romano

La vicenda della Pineta di Arenzano assumerà nel tempo le caratteristiche di una vera e propria esportazione dello stile di vita milanese, compiuto attraverso l’architettura e gli interni domestici, che sono il vero cuore della vita familiare e di società. All’insegna di un ritrovato rapporto con la storia e con la tradizione, negli appartamenti e nelle ville nasce e si sviluppa, ad esempio, la consuetudine di disporre pezzi d’epoca in ambienti moderni e di combinare arredi contemporanei con pezzi antichi. A questo principio di “invenzione delle tradizioni”, si unisce il buon vecchio senso pratico del mondo imprenditoriale lombardo, per cui gli interni appaiono come la traduzione in forma architettonica del “buon senso” eletto a programma: la volontà di assecondare il movimento del corpo, di ricercare gli affacci e le viste migliori, di sottolineare in modo rituale i momenti della vita borghese, senza sovrastrutture ideologiche e senza preconcetti. Negli interni si ritrova quindi quel minimo di lusso necessario alla borghesia degli anni Cinquanta e Sessanta.
Più in generale, la Pineta di Arenzano rappresenta una sorta di metafora della storia dell’architettura italiana dal dopoguerra a oggi. Alla qualità individuale delle singole ville e dei raffinati interni domestici non corrisponde, purtroppo, una qualità complessiva dell’insediamento a livello urbanistico e ambientale. Le motivazioni sono molteplici, a partire dal fatto che la lottizzazione della Pineta è stata concepita fin dall’inizio come un’operazione interna alla proprietà, al di fuori di qualsiasi regolamentazione urbanistica. Ciò ha generato una vera e propria deregulation immobiliare, a scapito della qualità generale e del prestigio stesso dell’operazione. Quelle che erano le buone intenzioni di partenza del Piano del 1956 di Zanuso e Gardella sono state infatti disattese.
Ha pesato in questa vicenda (come nella situazione a scala nazionale), la mancanza del controllo pubblico. Quando è stato adottato il primo Piano Regolatore, nel 1976 (20 anni dopo!), la situazione era già compromessa.

Il silenzio ventennale degli amministratori pubblici, al di là della presa d’atto degli interventi (i disegni venivano inviati “per conoscenza”) si può spiegare con un malinteso senso dell’economia di Arenzano, prevalentemente trainata dall’edilizia e dal turismo, secondo un’ottica del territorio come terra di conquista e come bene da sfruttare in modo intensivo.
Pochi interventi di grande pregio architettonico – non più di una decina di ville – non possono a incidere a livello generale sulla qualità ambientale. Le ville, peraltro, non si vedono, ma tutt’al più s’intuiscono. La Pineta di Arenzano è un luogo di edifici nascosti perché il rapporto con la strada è dato soprattutto dai muri di recinzione. La riservatezza milanese, insieme a quella che è la principale inquietudine della società contemporanea, cioè l’ossessione per la sicurezza, hanno generato un paesaggio di muri ciechi e impenetrabili. Mai come in questo caso il termine “esclusivo” trova la sua corretta applicazione, nel senso di escludere la vista, e ovviamente l’accesso, rispetto al mondo esterno. Gli spazi di uso pubblico sono limitati all’essenziale, a parte le attrezzature sportive (golf, minigolf ed equitazione), le spiagge, la chiesa progettata da Luigi Caccia Dominioni e la pittoresca piazzetta commerciale di Ignazio Gardella, denominata il “Portichetto”, non certo la migliore delle sue opere. I veri “spazi pubblici” di una certa qualità, come abbiamo detto, sono i soggiorni delle ville che interpretano, seppure in modo diverso tra di loro, una sostanziale condizione di chiusura rispetto al contesto, ai limiti dello straniamento. Si tratta, infatti, di ville introverse, rivolte verso l’interno o, quando la posizione lo permette, affacciate verso il mare ma invisibili dalla strada. Inoltre, all’interno della Pineta non è contemplato altro mezzo di locomozione che non sia l’automobile. Le strade non hanno nemmeno i marciapiedi.

pineta3Vico Magistretti, Casa Arosio 1958-59, fotografia di Filippo Romano

Passato il boom economico, il fascino e la qualità della Pineta sono andati progressivamente decadendo, sia per i bassi investimenti nella manutenzione che per lo scadimento delle condizioni del mare. Ma, soprattutto, perché erano ormai cambiati i desideri e le aspirazioni di una borghesia milanese che, perduto il proprio slancio imprenditoriale e una certa lucidità culturale, si è sempre più chiusa in se stessa.

[Stefano Guidarini]

(1) Cfr. L. Venturi, Il gusto dei primitivi, Bologna 1926, II ed. Einaudi, Torino 1972.

(2) Cfr. G. Ponti, Stile di Caccia, in: “Stile” n. 3, mar. 1941: «il cliente, o meglio, l’abitatore, è il personaggio che l’architetto deve assumere per creare un ambiente. Questo avvicinamento all’uomo è una nostra conquista e ha le sue singolari analogie con tendenze scientifiche e letterarie».

(3) E.N. Rogers, Il gusto al servizio della tecnica: due palazzi per uffici e abitazioni di Agostino Agostini e Luigi Caccia Dominioni in Corso Europa a Milano, in: “Casabella-continuità” n. 230, ago. 1959.

(4) I. Gardella, M. Zanuso, Piano di sistemazione della Colletta di Arenzano. Relazione, luglio 1956. Dattiloscritto Archivio Gardella, Milano, p. 3. La società proprietaria delle aree è la Cemadis.

english text

Clients and architects connect in Arenzano

Between the late Forties and late Sixties (just before 1968), a group of designers from Milan’s upper middle class and their clients, members of a class of entrepreneurs on the economic and social rise, established a deeply and peculiarly fruitful relationship. They shared goals mainly because they shared a lifestyle and, more in general, a taste, that in this case was particularly, in Lionello Venturi’s definition (1), the cultural expression of a certain social group. Their shared goal was proposing a new coherent connection between housing type and modern principles and trying to consider clients first of all as human beings, as Gio Ponti had anticipated in the early Forties (2), in an attempt to put «taste at the service of technology», as Ernesto N. Rogers would observe almost twenty years later (3).

In 1956 Ignazio Gardella and Marco Zanuso were commissioned to study the development of the Arenzano pinewood and the promontory’s surrounding areas, for a tourist resort for about 10,000 residents in a location of remarkable natural beauty (4).
The idea was to build a holiday resort in green surroundings and export there the entire lifestyle of Milan’s upper middle class, since the beginning the main target of the operation. It is no coincidence that the other designers later involved were some of the best interpreters of the taste of Lombardy’s capital’s emerging class: besides Gardella and Zanuso, Vico Magistretti, Luigi Caccia Dominioni, Roberto Menghi, Anna Castelli Ferrieri and Gio Ponti. In time, the Arenzano Pinewood would consistently imitate the characters of Milan’s lifestyle, mirrored by architecture and domestic interiors as the real expressions of family’s and society’s life. Having re-established a connection with history and tradition, it was increasingly common, in apartments and villas, to select period pieces for modern environments and combine contemporary furniture with older pieces. Such principle of “inventing traditions” is complemented by the good old practical sense of Lombardy’s entrepreneurial world so that the interiors reflect the architectural translation of “good sense” as a program: an attempt to facilitate the body’s movements, to provide the best prospects and views, to highlight the moments of bourgeois life as rituals, avoiding all ideological judgment or bias. In this sense the interiors evoke the minimization of luxury pursued by the middle class during the Fifties and Sixties.

In a more general sense, the Arenzano Pinewood represents a sort of metaphor of the history of Italian architecture since WWII. Unfortunately, the individual quality of villas and refined domestic interiors is not matched by the development’s general quality on an urban planning and environmental level. There are several reasons for this, first of all the fact that since the beginning the development of the Pinewood was conceived as an operation that the owners conceived as totally free from urban planning constraints. This resulted in an absolute urban planning deregulation, to the detriment of the operation’s general quality and credibility. All in all, the good intentions Zanuso and Gardella had expressed in their Plan of 1956 were disregarded.

The absence of public monitoring greatly influenced this specific experience (just like Italy’s situation on the whole). In 1976, when the first Zoning Plan was adopted (after 20 years!), the situation was already compromised. Twenty years of inactivity from public administrators, besides a mere acknowledgement of the plans (the drawings were only submitted “for information”) may be explained as the result of the mistaken idea that Arenzano’s economy could only rely on construction and tourism activities, so that the land was seen as a resource to be used and exploited mercilessly. Few buildings of an outstanding architectural value – about ten villas at most – cannot determine environmental quality on a general level. In addition, the villas can be only imagined as they are not even visible from the road. The Arenzano Pinewood is a place of hidden buildings as only fencing walls can be seen from the road. Privacy, a sacred value for Milanese citizens, along with the obsession for security, the main concern of contemporary society, have produced a landscape of blind and inaccessible walls. Here more than anywhere else the word “exclusive” finds its most adequate expression, in the sense that view, and obviously access, is denied to the outer world.

The areas for public use are reduced to the minimum, with the exception of sports facilities (golf and mini-golf courses and horse-riding tracks), beaches, the church designed by Luigi Caccia Dominioni and a small commercial square called “Portichetto” designed by Ignazio Gardella, not one of his best works. As mentioned before, the true “public spaces” of a certain quality are the villas’ living rooms that interpret, albeit in different ways, a basic condition of closure to, if not alienation from, the context. These introverted villas look onto themselves or, when the location is favorable, out to the sea while being invisible from the road. In addition, no means of transportation other than cars is provided in the Pinewood. There are not even sidewalks beside the roads.

Once the economic boom waned, the charm and quality of the Pinewood began to gradually decline too, both for the decrease in maintenance and for the sea’s increasing pollution. Even more than that, the desires and aspirations of Milan’s upper middle class had changed – having lost its entrepreneurial courage and a certain cultural curiosity, it increasingly withdrew into itself.

[Stefano Guidarini]

(1) See L. Venturi, Il gusto dei primitivi, Bologna 1926, II, Einaudi, Turin 1972.

(2) See G. Ponti, Stile di Caccia, in: “Stile” n. 3, Mar. 1941: «the client, or rather the user, is the person the architect should consider when he creates an environment. Getting closer to man is an achievement for us that interestingly connects with other efforts in the scientific and literary worlds ».

(3) E.N. Rogers, Il gusto al servizio della tecnica: due palazzi per uffici e abitazioni di Agostino Agostini e Luigi Caccia Dominioni in Corso Europa a Milano, in: “Casabella-continuità” n. 230, Aug. 1959.

(4) I. Gardella, M. Zanuso, Piano di sistemazione della Colletta di Arenzano. Relazione, July 1956. Typescript Archivio Gardella, Milan, p. 3. Cemadis was the company that owned the areas.