Alberto Ponis è un uomo di poche parole, taciturno, ma la sua architettura compone un linguaggio complesso, colto, che deriva dall’aver vissuto circondato dall’arte. Il padre, Mario Alberto Ponis, aveva fondato la M.I.T.A. (Manifattura Italiana Tappeti Artistici) alla fine degli anni venti a Nervi, estremo levante di Genova, con l’obiettivo di realizzare tappeti che non avessero nulla da invidiare a quelli orientali e che fossero riconoscibili. Tappeti che verranno disegnati da Gio Ponti, Fortunato Depero, Mario Sironi, Arturo Martini, Tomaso Buzzi, Luigi Vietti, Oscar Saccorotti, Eugenio Carmi, Emanuele Luzzati, Flavio Costantini, Arnaldo e Gio Pomodoro, Corina Steinriesser e molti altri. La fabbrica viene disegnata e realizzata da Luigi Carlo Daneri nel 1941. Ponis nasce nel 1933, lo stesso anno in cui si apre la V Triennale di Milano che vede protagonisti proprio gli architetti liguri, in primis Daneri, Luigi Vietti e Robaldo Morozzo della Rocca, con la costruzione del prototipo di torre residenziale che desterà grande attenzione dalla critica architettonica. Genova non aveva ancora fondato la facoltà di Architettura, così il giovane Ponis si trasferisce a Firenze per studiare. Tra i suoi compagni troviamo Dante Bini, grande sperimentatore di cupole che poi ritroverà, negli anni settanta in Sardegna, a Costa Paradiso, dove progetta la “Cupola” per il regista Michelangelo Antonioni. A Firenze ha trovato professori i giovani architetti fiorentini, allievi di Giovanni Michelucci: Leonardo Ricci, Leonardo Savioli e Giuseppe Gori. Ponis dopo la laurea nel 1960 parte per Londra dove incontra due protagonisti del New Brutalism: Ernö Goldfinger e Denys Lasdun; ma entra in contatto anche con le architetture di James Stirling. E’ il periodo del New Brutalism, il movimento fondato nel 1953, durante l’esposizione Parallel of Life and Art all’ICA di Londra, organizzata da Alison e Peter Smithson, Eduardo Paolozzi e Nigel Henderson. La mostra è una rassegna di fotografie che ritraggono maschere etniche, siti archeologici, corpi umani, disposti senza un ordine preciso. Il fotografo Henderson ritrae la vita quotidiana della East London: impalcature con teli stracciati, materiali grezzi. Così questa attenzione per il reale ci aiuta nel comprendere il manifesto del New Brutalism. Sostenuti dallo storico e critico Reyner P. Banham gli Smithson eleggono le opere di Le Corbusier, in particolare l’Unitè di Marsiglia e l’IIT di Mies van der Rohe di Chicago come riferimenti teorici su cui basare il loro linguaggio al cui centro mettono l’etica. Come scrive Anna Rita Emili è un movimento che “risponde alla realtà delle cose non imitando, ma reinterpretando con genialità e raffinatezza quelle teorie, che seppure già esistenti nella storia dell’architettura, si configurano come una parentesi culturale e sociale di grande innovazione[…]”1  . I caratteri principali dell’etica del New Brutalism si possono riassumere nel definire una architettura che non ammicchi al pittoresco, ma che definisca bene cosa è struttura e cosa è superficie, come nel caso dell’etica di Mies, considerando l’architettura come espressione di un modo di vivere delle persone, e come tale abbia un carattere preciso, sia nella teoria sia nella forma.
Partendo da questi presupposti Ponis dopo l’esperienza da Lasdun acquisisce quella maturità progettuale che verrà applicata nelle prime architetture che realizza, sul finire degli anni sessanta, a Costa Paradiso in Sardegna – come lui stesso ricorda:

“Da Lasdun seguivo i progetti dai primissimi passi disegnando e facendo modellini in balsa sui quali quotidianamente discutevamo. Da lui ho imparato a non fermarmi mai alla prima soluzione, a continuare a lavorare e lavorare sull’idea più promising con cocciutaggine e senza impazienza”2 .

Come sottolinea Sebastiano Brandolini “dall’Inghilterra Ponis imparò l’importanza di esplorare i luoghi ignoti e di presidiarli, attraverso una colonizzazione che fosse sentimentale e fisica insieme; inoltre imparò l’importanza di vivere in comodità ma senza sfarzo, e di essere insieme spartano e romantico. Questi tratti della sua neo-identità personale di matrice italo-inglese, egli li trasferì poi nella sua architettura; sono riscontrabili nelle primissime case che realizza a Punta Sardegna nei pressi di Palau, appena arriva da Londra nel 1963. La Sardegna per lui non è certo un ritorno in Italia, ma una seconda emigrazione”3 .

Genius Loci, viaggio nell’architettura vernacolare sarda, 1963, fotografia Alberto Ponis, courtesy Archivio Ponis

Fin dagli esordi Ponis usa diversi strumenti: la fotografia, la pittura e il disegno. E’ un modo per definire, codificare gli spazi e le relazioni tra essi e il paesaggio naturale ed urbano. La fotografia è il media preferito insieme al disegno, nella forma dello schizzo a mano libera, inteso quest’ultimo sia come strumento di progetto sia come mezzo espressivo per evidenziare in astratto le forme. Lo stesso processo che avviene con la pittura dove i piani volumetrici sono campi di colore sovrapposti che scompongono le forme originarie come avviene per il Porticciolo di Nervi, una ossessione per Ponis. Lo stesso si può dire per le vedute di Bonifacio, in Corsica, dipinte dalla sua casa di Palau. La curiosità di Ponis lo porta a usare gli strumenti che il progresso tecnologico affina nel tempo. Quando si usa la fotocopiatrice lui comporrà dei collage su fogli quadrettati su cui incolla fotografie e brevi descrizioni del suo pensiero progettuale. E’ il caso, ad esempio, di Thought&Forms, una serie di appunti in cui Ponis definisce il suo alfabeto architettonico:

“Se vedo raggruppate un certo numero di piante delle mie case mi sorprende a prima vista la grande diversità di forme[…] In realtà proprio questa continua varietà sta l’elemento che le accomuna nel senso che la loro aderenza ad un ambiente naturale morfologicamente molto variegato le predispone a forme coerentemente e armoniosamente altrettanto variate”4 .

Tuttavia l’origine del progetto per Ponis passa dal sopralluogo nei siti che lui ritrae con la reflex in bianconero. Il ritorno dall’Inghilterra lo proietta, ancora una volta, in un nuovo inizio. Esplora il paesaggio sardo fotografando, nella serie Genius Loci, le architetture vernacolari dei villaggi lungo la costa e nell’interno che poi, come fece Le Corbusier nel Voyage en Orient, costituiranno quell’atlante di archetipi che lui trasferirà nella sua architettura. Un esempio in tal senso riguarda lo stazzo gallurese, la casa del pastore dalla forma elementare, rettangolare, e realizzata in granito con il tetto a due falde coincidente con il perimetro. Ma c’è un altro elemento centrale nella ricerca di Ponis che lui prende dalla cultura architettonica vernacolare, è il patio, vero fulcro delle sue case, attorno al quale avviene la distribuzione delle funzioni. La natura così debordante tra lecci, corbezzoli, rocce granitiche, suggestionano e convincono l’architetto genovese che solo costruendo attorno agli elementi naturali la sua architettura può prendere forma. Un’attitudine ben diversa da quella applicata dagli speculatori che tagliano, sezionano e lacerano il paesaggio con scavi e sbancamenti senza senso, i cui effetti hanno devastato profondamente il litorale nord-ovest della Sardegna.

Alberto Ponis, Thought&forms, 2013, courtesy Archivio Ponis

Architetture nella natura

Sarra Niedda, la selva oscura, era questo il toponimo di quel tratto di costa a sud di Santa Teresa di Gallura che a fine anni sessanta l’imprenditore milanese Pierino Tizzoni compra per pochi denari dai pastori, che lui trasforma in Costa Paradiso. Tizzoni era stato campione di motociclismo e una volta divenuto imprenditore, nel 1954, aveva creato dal nulla Torre del Mare, località per la villeggiatura estiva dei milanesi a Bergeggi in Liguria, coinvolgendo l’architetto Mario Galvagni per progettare le case di vacanza. Così la visionarietà di Tizzoni ha conquistato anche questo luogo periferico della Sardegna, che si poneva come valida alternativa alla Costa Smeralda. Una serie di architetture per le élite progettate da Michele Busiri Vici, Luigi Vietti e Jacques Couelle, promossa dall’Aga Khan il 14 marzo 1962 sotto il nome di Consorzio Costa Smeralda. Costruire architetture in un territorio vergine consente di sperimentare le forme, soprattutto Busiri Vici si orienta per una reinterpretazione della casa mediterranea bianca, che si avvicina maggiormente al pittoresco piuttosto che alla maison blanche lecorbuseriana. Questo orientamento verso la tradizionale casa mediterranea contaminerà gran parte delle architetture della vacanza in Italia, senza una relazione topografica con i siti, individuando un modello ripetibile indipendentemente dal contesto.

“Gli insediamenti mediterranei antichi-scrive Alessandro Lanzetta-sono sempre stati chiare figure urbane, anche in presenza di pochissimi abitanti. Sono agglomerati molto eterogenei frutto della sintesi di tante civiltà, con un punto di similitudine: nascono attraverso una semplice combinazione seriale di una cellula spaziale base e si sviluppano successivamente in forme organiche, labirintiche e complesse”5 . E’ la logica della Costa Smeralda che sfrutta la bellezza del paesaggio, realizzando forme circolari, facciate bianche senza comprendere i caratteri architettonici dell’architettura vernacolare sarda. In antitesi con questo approccio si colloca la ricerca di Alberto Ponis che, invece, è attratto dalla natura selvaggia al punto da farla entrare dentro le case che si articolano attorno a rocce di granito e alberi di corbezzolo. Questa è la sua idea di architettura. Una idea semplice e complessa allo stesso tempo, lavorando in pianta e in sezione per creare spazi abitativi che prendono forma dalle strutture naturali. L’architettura di Ponis è imprescindibile dal patio, fulcro della vita domestica ma anche spazio di mediazione tra interno ed esterno.

Alberto Ponis, Casa Gostner, Costa Paradiso, 1998, fotografia Emanuele Piccardo

“Il patio è fondamentale per me, noi abbiamo smesso di farli- afferma Ponis- ma se tu vai al sud della Sardegna c’è un paesino che sono tutti patii e questa serie di patii riesce a movimentare lo spazio e non ti accorgi che è piatto. E’ un tramite tra una casa e lo spazio esterno, mi sembra strano che uno possa farsi la casa senza patio avendo la possibilità, in Sardegna abbiamo tanti esempi, la zona del Campidano[…] Il patio è fondamentale perché ti dà due climi opposti[…]In fondo le case – sono come le persone devono avere una commistione di caratteri diversi. Tutte le opere e le persone che sono univoci, quindi la casa di montagna, il dirupo, la casa sulla pianura piatta, la persona silenziosa e la persona troppo loquace, è sempre una questione di misura”6 .

Il patio è uno spazio che ritroviamo nella casa romana e che appartiene alla cultura architettonica mediterranea e araba, uno spazio di libertà dal quale guardare il cielo e il suo mutare durante il giorno, ma è soprattutto uno spazio che genera ombra e frescura.

“La sensazione di vivere è possedere un pezzo piccolo ma tutto tuo della superficie terrestre-scrive Ponis a proposito del significato del patio- a contatto esclusivo ma protetto con il cielo: che incredibile privilegio da una stanza senza tetto!”7 .

La sua ossessione per ritornare nei luoghi più volte gli consente di scegliere con precisione la posizione e l’orientamento sul sito, calibrando in maniera efficace il rapporto luce-ombra, interno-esterno, sia nei siti fronte mare sia in quelli immersi nel verde della vegetazione mediterranea. Queste osservazioni avvengono con l’ausilio del disegno (lo schizzo) e della fotografia. La grande capacità di controllare il progetto in tutte le fasi, dall’idea al cantiere, lascia in eredità alla contemporaneità un abaco di soluzioni progettuali necessarie a comprendere come si deve progettare nella natura. Questo avviene, seguendo la lezione del New Brutalism, senza ambiguità. Il tema dello stazzo rimane centrale soprattutto a Costa Paradiso, in cui viene sperimentato e portato all’estremo nelle sue infinite varianti. Il primo esempio è Casa Isetta, costruita nel 1969 per Pepita Isetta, collaboratrice di Tizzoni nel progetto di lottizzazione di Costa Paradiso.

Alberto Ponis, Casa Isetta (Pepita), Costa Paradiso, 1969, fotografia Alberto Ponis, courtesy Archivio Ponis

Pepita “vuole costruire una piccola casa per sé-scrive Ponis- semplice e sobria come le dimore dei pastori[…] La casa di Pepita nasce a cavalcioni di un piccolo crinale […] Per accompagnare il terreno le stanze si dispongono a quote sfalsate susseguendosi in modo lineare a mò di trenino, ognuna affacciata sui due lati”8 . In questo modo lavorando sulle quote del terreno la casa si inserisce nel sito come se fosse stata sempre lì. Il tema dello stazzo nei primi progetti ritorna più volte a partire da Casa Cattadori (1971), dove la pendenza del sito consente a Ponis una ulteriore variante compositiva di Casa Isetta, mentre per Casa Trevisan (1971) affronta il tema dei volumi sfalsati a formare due braccia aperte, che creano degli spazi seghettati dialoganti con la roccia retrostante ed  il tetto trattato come una superficie unica che raccorda tutti gli spazi. Una riflessione differente riguarda Casa Bovi (1971) costruita in prossimità della costa, essa assume uno sviluppo orizzontale con lo sfalsamento dei due rettangoli per rendere meno statica l’architettura. L’attenzione di Ponis alla natura è evidente in molte case. Nel 1970 per il console americano Hartley viene scelta la forma del “ventaglio coricato” che consente di “guardare il mare al di qua e al di là di una punta rocciosa piantata nel bel mezzo”9 . Il tetto è un’unica superficie che contribuisce a conferire all’insieme architettonico una coerenza formale e spaziale dove gli ambienti interni seguono i diversi livelli generati dalla copertura.

Costa Paradiso non è l’unico sito in cui l’architetto genovese opera, il suo ambito comprende anche Palau e le località limitrofe. Nel 1971 nello stesso modo in cui progetta Casa Hartley, disegna una casa che ha nel tetto e nella conseguente forma un esito plastico riuscito. Si tratta dello Studio di Yasmin, madre dell’architetto Sebastiano Brandolini, costruito tra Porto Ulisse e Capo d’Orso. Una casa circolare il cui tetto ricorda la forma di una patella, richiamando l’immaginario del mare. Lo spazio interno ruota attorno al camino che sostiene il tetto-tenda e consente la vita all’interno di questa pianta centrale, libera da muri, ma con piccoli divisori che separano la zona giorno da quella notte. Le aperture consentono all’occhio di abbracciare un panorama ampio di mare ed alla luce di invadere lo spazio.

“Yasmin-scrive Ponis-pittrice di gusto e sensibilità raffinata ha deciso di costruirsi un piccolo studio a pochi passi dal mare […] Da Yasmin ho ricevuto lezioni di rigore compositivo e di fantasia, ma soprattutto ho appreso come la fusione tra la casa e l’ambiente diventi più completa quando il colore dei muri esterni viene esteso a quelli interni[…]”10 .

Il ventaglio come tema progettuale, dopo Casa Hartley, viene ripreso in Casa Figini (1973). Lì i singoli spicchi geometrici frammentano maggiormente lo spazio rispetto a Casa Hartley, accompagnando le diverse quote del terreno su cui vengono disposti gli ambienti. Dallo schema funzionale della pianta, al cui centro vi è la roccia, Ponis disegna con il pennarello azzurro le direzioni che  scaturiscono dalla forma architettonica, con una predilizione per la vista verso il mare, enfatizzando l’esplosione radiale dello spazio verso l’esterno. Nel lessico di Ponis le quote del terreno esistenti non rappresentano un ostacolo, bensì un’opportunità al pari della geometria della forma. I volumi sono privi di ambiguità e non ammiccano agli stili del passato.

Alberto Ponis, Studio Yasmin, Porto Ulisse- Capo d’Orso, 1971, fotografia Emanuele Piccardo

Ponis interpreta il genius loci studiando e rileggendo le tipologie, i materiali e le soluzioni adottate dalle architetture vernacolari. In questo scenario si colloca Casa Dotoli (1972)pensata per una coppia di giovani napoletani. Lì viene progettata la prima variante dello stazzo con un patio interno, che divide le funzioni di cucina, sala, camera da letto dei genitori e bagno, collocate verso il mare, da una seconda unità con le camere dei quattro figli verso il monte. La casa si sviluppa ortogonalmente al lotto rettangolare ed è delimitata da due muri in granito ciechi che si protendono verso il mare creando, con il patio, quella permeabilità continua tra interno ed esterno. Sul tema del patio una variante unica rimane Casa Sali (1974). Costruita lontano dal mare è pensata suddividendo in due blocchi rettangolari la zona giorno in alto e la zona notte in basso, collegate da una scala-portico dove il quarto lato del patio non è un muro ma una roccia. La roccia ritorna anche nell’interno della zona diurna proprio perché l’architetto vuole integrarla dentro l’edificio.

Nel suo vocabolario progettuale Ponis adotta diverse varianti a seconda del contesto e del committente, tuttavia possiamo affermare che la sua architettura mantiene una qualità architettonica elevata nel tempo, insieme alla sapienza del saper costruire che infonde anche ai muratori sardi. E’ una immersione totale dentro la natura, dove la sua figura di uomo alto ed esile si arrampica sulle rocce per scorgere il mare e fotografare il lotto di progetto; elementi che ci fanno comprendere la complessità della sua ricerca. L’approccio al progetto deriva sia dall’esperienza londinese ma anche  dalla sua genovesità. Una caratteristica profonda dell’essere ligure è la capacità di fare sintesi, evitando fronzoli e orpelli, arrivando all’essenza delle cose, insieme a una certa durezza nelle decisioni in cui la mediazione è letta come una perdita di tempo. In fondo come Germano Celant ha identificato nel 1967 con il termine “Arte Povera” una serie di lavori degli artisti che usano elementi poveri come legno, pietra, vetro, si può parlare per Ponis di “Architettura Povera”. Una ricerca “povera” fatta di pochi elementi costruttivi: il tetto, il patio, gli involucri spaziali, la natura; quest’ultima entra nel progetto sia nello spazio interno, ad esempio le rocce attorno alle quali si distribuiscono gli ambienti oppure i corbezzoli che generano il patio.

Alberto Ponis in visita a Notre Dame du Haut, Ronchamp, courtesy Archivio Ponis

L’analisi della complessità di Ponis ci porta a considerare l’esperienza del viaggio come formativa. Infatti i viaggi che compie in Europa e in America costituiscono una fonte di conoscenza importante nell’elaborazione del pensiero progettuale. Nel 1973 visita in Scandinavia le architetture di Arno Jacobsen e Alvar Aalto e nello stesso periodo si reca a La Tourette e Ronchamp. Un discorso a parte riguarda l’America dove nel 1972 visita le opere di Louis Kahn a Philadelphia e nel 1974 il Sea Ranch che diventa un riferimento a cui guardare. Infatti ci sono analogie morfologiche tra i paesaggi di Costa Paradiso e Sea Ranch. Un insieme di case per le vacanze lungo la costa nord della California, nella Sonoma County, progettate a partire da una idea dell’urbanista Al Boeke che invita altri architetti a realizzare le architetture: Charles Moore, Joseph Esherick, William Turnbull Jr., Donlyn Lyndon, Richard Whitaker; il cui masterplan viene affidato al paesaggista Lawrence Halprin. Il resoconto dei viaggi avviene con la fotografia. È il media con cui Ponis ci restituisce gli spazi che attraversa, grazie a una serie di diapositive a colori, abbandonando in parte il bianconero. Analizzando la composizione delle inquadrature fotografiche si comprende quale sia l’interesse di Ponis in una architettura, alternando immagini panoramiche ai dettagli costruttivi, come il tetto di Ronchamp, i volumi primari del convento de La Tourette o le ville di Charles Moore al Sea Ranch. L’esperienza del viaggio è il filo conduttore che ha accompagnato Ponis per tutta la vita, come abbiamo visto il primo approccio con la Sardegna è l’esplorazione dei villaggi. Costa Paradiso rimane il suo luogo, ovvero un campo di campo di sperimentazione all’interno di un contesto particolare come lui stesso ricorda:

“Ho avuto culo – ricorda Ponis-di essere in questo posto quando incominciava e quindi quasi vergine e ho incontrato due, tre, quattro persone che avevano lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di fare”11 . Queste sue parole registrano il contesto in cui Ponis ha operato, molto diverso dall’oggi dove l’entusiasmo appare unicamente per costruire senza nessun riguardo per il contesto naturale nell’indifferenza di molti, istituzioni e abitanti.

A Costa Paradiso è la morfologia dei lotti a condizionare la forma delle case e Ponis sembra voler scegliere e sfidare le posizioni più ardite, per enfatizzare e sfruttare a suo vantaggio le difficoltà della topografia, concependo architetture complesse che si articolano lungo gli strapiombi disegnando un nuovo paesaggio abitativo. Di questo sistema fanno parte Casa Scalesciani (1977) la cui morfologia del sito condiziona fortemente il progetto fondendosi completamente con la roccia, Casa di Ivan (1994) e Casa Gostner (1998). In entrambe, come per la maggior parte delle architetture, la natura entra in maniera prepotente ed espressiva dentro le case divenendone un elemento imprescindibile. Ponis riprende più volte nel tempo i temi progettuali dell’inizio come un continuo ed unico progetto continuo.

Ivan Baj è un designer e artista del vetro, colto e sensibile che trova in Ponis il suo mentore e che gli disegnerà una delle più interessanti case di Costa Paradiso: una stella di mare tra le rocce.

“A Costa Paradiso c’ero già stato prima di conoscere Alberto- afferma Baj- Avevo visto molti terreni, finché un giorno mi sono arrampicato in questo poggio tra le sterpi e sono precipitato in un piccolo burrone…e mi sono innamorato follemente di questo lotto, forse uno dei più belli di Costa Paradiso, circondato da una natura incontaminata […] La casa è stata costruita su un perimetro che avevo tracciato senza volere…che poi alla fine è la forma di una stella […] non volevo che fosse toccato nessun albero. Certi lecci, certi ginepri io ho escluso che potessero essere toccati[…] Dopodiché sono andato a Nervi a incontrare Alberto ma c’era il blocco delle costruzioni a trecento metri dal mare. Se fosse andata male avrei messo una tenda, questo era l’obiettivo. Dopo un anno e mezzo Alberto mi ha mandato il disegno e da lì è nata la tenda”12 . Se c’è una dote delle case di Ponis è quella di  consentire l’immersione totalizzante  dei nostri corpi nella natura, fondersi con essa, e questo avviene sfruttando tutti i nostri sensi come l’olfatto, il tatto e la vista, mediato dalla architettura. Questo accade anche a Casa Gostner. Lì una forma esagonale abbraccia un corbezzolo al centro del patio, mentre la piscina è costruita incastrata tra le rocce a strapiombo sul mare, sfidando ancora una volta la topografia.

La vista da Casa Ivan, Costa Paradiso, 1994, fotografia Emanuele Piccardo

La continua ricerca formale e tipologica ci conduce a Casa Cirillo (1992), collocata sulla sommità di un gruppo di rocce. Qui Ponis elabora ancora, come nelle case degli anni settanta,  la separazione delle funzioni con quattro piccole unità abitative che richiamano, nei volumi primari, le case dipinte da Carlo Carrà. Come si nota dagli schizzi, gli alberi di corbezzolo e la vegetazione circostante costituiscono i limiti entro i quali l’architettura si sviluppa. L’architetto ligure non agisce mai sbancando o scapitozzando le colline rocciose, preferisce insinuarsi tra la natura e da lì strutturare, con terrazze e patii, la sua idea dell’abitare. L’importanza della pittura è sempre evidente.

“Per me pittura e architettura sono fuse insieme- continua Ponis […] perché la pittura uno la immagina come una versione piatta della realtà e l’architettura come una cosa mossa e non necessariamente cromatica e questo non è vero, le due cose dovrebbero sempre essere insieme come è in natura. La differenza dalla natura è che il contributo dell’architettura, non solo l’architettura degli architetti, ma anche quella della tradizione, come questa che citavo nel Campidano, dove ci sono questi villaggi che sono fatti di piccole casette con il patio, o in Africa…in fondo tu hai il problema del riparo e allo stesso tempo dell’apertura e non la puoi ottenere aprendo e chiudendo uno sportellone. Lo spazio e il volume della casa dovrebbe già contenerlo e ci sono tanti esempi…dove è difficile distinguere se il linguaggio è più pittorico o architettonico”13 .

Nel 1975 inizia insieme al fratello Aldo a pianificare l’intervento di Stazzo Pulcheddu, un insediamento collettivo prospiciente Palau, ma lontano dal mare.
“Stazzo Pulcheddu nasce dieci anni dopo lo sbarco dei primi turisti in Sardegna. È il tempo necessario perché si normalizzi il mondo della costruzione, una volta conclusa la forsennata conquista dei terreni costieri […] è il primo insediamento che sceglie la distanza dal mare, e che non tocca un filo d’erba prima che venga fatta un’accurata indagine ambientale e un dettagliato piano urbanistico”14 . Queste parole scritte dopo trent’anni dalla sua costruzione evidenziano l’etica di Ponis nell’affrontare la questione delle case per le vacanze. Il progetto si sviluppa per comparti, grazie anche al Piano urbanistico comunale che consente nella zona collinare l’insediamento, ma il merito va ascritto al giornalista romano Danilo Orsini, ricorda Ponis, “che trova i finanziamenti e guida l’iniziativa”. Nel 1974, come abbiamo visto, Ponis visita le architetture di Charles Moore al Sea Ranch che diventano un esempio da seguire sotto l’aspetto ambientale proprio per Stazzo Pulcheddu. Le fotografie di Carla De Benedetti ritraggono in bianconero il rapporto con il paesaggio e i dettagli dei tetti e dei patii che si intersecano contribuendo a definire l’iconografia di queste architetture. Stazzo Pulcheddu è un luogo autonomo con il centro servizi, tipico dei villaggi delle vacanze, in cui si trovano funzioni commerciali d’uso ai vacanzieri. Le tipologie delle unità abitative si dividono in residence, case a patio di 60, 70 e 90 mq. Il patio è posto al centro dell’unità abitativa per separare la zona giorno da quella notte, modalità che era già stata usata in Casa Dotoli. La vista  in primo piano sulle colline è quella preferita mentre sullo sfondo appare il mare. Le case seguono l’andamento del dislivello mantenendo la vegetazione e le rocce preesistenti.

Due anni dopo, nel 1977, Ponis progetta la prima casa collettiva a Costa Paradiso: Il Cisto. Un insieme di volumi che trova riscontro nell’opera di Cezanne per la scomposizione cubista delle sue forme, enfatizzata dalle fotografie realizzate dall’architetto che gli conferiscono una forte plasticità. Nato dalle mutate esigenze del mercato immobiliare, che aveva la necessità di alloggi più piccoli delle grandi case unifamigliari, Il Cisto si sviluppa ortogonalmente al lotto, dove anche qui la presenza del patio è importante e compensa la riduzione degli spazi interni creando una opportunità spaziale. In questo progetto il  rafforzamento del legame con la natura avviene anche con la scelta del nome dell’architettura, infatti il cisto è una pianta spontanea che nasce nelle coste mediterranee. Ponis ci indica con Stazzo Pulcheddu, Il Cisto e con il Villaggio K1 (1982) la via per progettare le architetture per la vacanze di massa rappresentate non più dalla casa unifamigliare bensì dal villaggio, evitando la distruzione del paesaggio.  Il Villaggio K1 è un esempio paradigmatico di come si dovrebbero progettare i villaggi. L’edificio si attorciglia attorno al lotto con un sistema di singole unità abitative di modeste dimensioni e giardini collocati sul retro, in cui il percorso è il fulcro dal quale si diramano gli alloggi. Purtroppo la sua eredità non verrà colta ne dai progettisti (geometri, architetti, ingegneri) ne dagli amministratori locali incapaci a porre dei limiti alla speculazione selvaggia che hanno alterato indelebilmente Costa Paradiso.

Ponis e la critica architettonica

Le architetture di Alberto Ponis solo negli ultimi vent’anni hanno avuto attenzione dai media dell’architettura. Come spesso accade gli architetti che costruiscono le case per la vacanza subiscono un oblio da parte della critica dell’architettura, in quanto le loro opere vengono lette come espressione della speculazione edilizia. Alberto Ponis condivide questo oblio con Mario Galvagni, anch’egli una figura dimenticata e figlia delle visioni di Pierino Tizzoni, Luigi Carlo Daneri con le sue architetture di Capo Pino e Capo Nero, solo per citare i casi più noti.

Nel 1964 Casabella, direttore Ernesto N. Rogers, pubblica due numeri monografici sulle coste italiane, il primo dedicato ai Pinai Urbanistici dove si presentano il Piano della Pineta di Arenzano redatto da Marco Zanuso e Ignazio Gardella, di Ameglia di Giancarlo De Carlo, il Piano per la Versilia dei BBPR, il Piano di sviluppo turistico di Punta Ala di Roberto Maestro, Ludovico Quaroni e Walter Di Salvo ed infine il Piano di Manacore del Gargano di Marcello D’Olivo. Il secondo numero monografico è dedicato agli “esempi tipologici” con una predominanza delle architetture di Arenzano realizzate dagli architetti milanesi Gardella, Zanuso, Magistretti e Caccia Dominioni. Sempre nel 1964 Domus nel numero di dicembre dedica un articolo alla Casa Altura di Ponis a Palau. Due anni prima, nel 1962, lui stesso scriverà per la rivista un testo dal titolo “A proposito di Londra una tendenza inglese”, dove racconta come siano significativi “gli ultimi progetti di Leslie Martin (nuove biblioteche per l’Università di Oxford), di Denys Lasdun (Royal College of Physicians), di Richard Sheppard (Churchill College a Cambridge)…”. Solo nel 2015, con il direttore Nicola Di Battista, Ponis firmerà un nuovo articolo questa volta su Casa Scalesciani, ed infine nel 2020 con un approfondimento sullo Yacht Club (1965).

Tuttavia sarà Ville Giardini la rivista che, quasi in tempo reale, pubblicherà le sue case. Nel marzo 1978 Ville Giardini mette in copertina Casa Schacther (1996) e titola “Cinque Ville in Sardegna Lo spazio della piscina Il giardino roccioso”. Si evidenzia così il motivo progettuale delle architetture accompagnate da un ricco servizio fotografico e questo succede anche nel numero di dicembre dove viene pubblicato Il Cisto e il D-35 (1976). Mentre Abitare, sempre nel marzo 1978, pubblica Stazzo Pulcheddu, Stazzo Orsini e Casa Figini. Nel 1998 e nel 2001 Patrizia Malfatti ancora sulle pagine di Abitare pubblica due architetture: Casa Cirillo e Casa Gostner.

Tuttavia oggi la funzione pedagogica della rivista cartacea si è esaurita, gli studenti non le leggono più, preferendo i profili instagram degli architetti. Tuttavia la bibliografia su Ponis è ancora scarna e frammentaria. Gli unici due libri che delineano la poetica di Ponis sono Storie di case e ambiente (Skira 2003) e il successivo Alberto Ponis Architettura in Sardegna (Skira 2006) in cui lui racconta lo sviluppo delle idee casa per casa, fornendo una serie di archetipi e desideri dei committenti, con il supporto delle sue fotografie e dei saggi introduttivi di Sebastiano Brandolini, altra figura fondamentale per aver valorizzato l’architetto genovese.. Nell’ultimo decennio l’impegno della moglie di Ponis, l’ingegnere Annarita Zalaffi, che ha collaborato con lui dal 1977 soprattutto nei progetti alla Maddalena, ha posto le basi per diverse iniziative sulla valorizzazione dell’opera del marito. Tra le collaborazioni più significative tra si rilevano quelle ccon l’ETH di Zurigo, il College of Architecture and Urban Planning della Tongji University in Cina, El Croquis e Drawing Matter. Quest’ultima è un’organizzazione, fondata da Niall Hobhouse, che esplora il ruolo del disegno nel pensiero e nella pratica architettonica attraverso mostre, pubblicazioni, eventi pubblici. Tra i contributi recenti si evidenzia il dialogo tra Ponis e Jonathan Sergison, professore ordinario all’Accademia di Architettura di Mendrisio, su AA Files (2016).
Nel 2023 il festival dell’architettura Abitare la Vacanza15 , coordinato da chi scrive, ha reso omaggio alla ricerca architettonica di Ponis con un percorso di sensibilizzazione della comunità di Costa Paradiso. Questo è avventuo attraverso le visite guidate alle case e con la costruzione di uno spazio pubblico, Casa Li Baietti aka Casa Ponis (2023), ad opera dei LandWorks (Andrea Maspero e Paola Serrittu) che hanno attivato un laboratorio di costruzione partecipata, con studenti e abitanti, con l’obiettivo di codificare alcuni elementi della poetica di Ponis (la panca, la terrazza, gli arredi integrati nell’architettura) per introiettarli nel disegno dello spazio pubblico. In questo modo si è cercato di attualizzare il messaggio architettonico di Ponis, come testimonianza del suo valore culturale.

Questo rinnovato interesse per Ponis nell’ultimo decennio gli restituisce il giusto posto nella storia dell’architettura, come un grande sperimentatore dell’abitare che, partendo dalle forme e dagli elementi della natura, definisce la sua idea di architettura che è anche una idea etica di società.

Emanuele Piccardo

26.09.2024

1. A.R. Emili, Puro e semplice l’architettura del Neo Brutalismo, Kappa, Roma 2008, p.64.

2. A.Ponis, Alberto Ponis Storie di case e ambiente, Skira, Milano 2003, p.14

3. S. Brandolini, Alberto Ponis, in P.Mura (a cura di), Alberto Ponis l’architettura e i suoi strumenti, Steinhäuser Verlag, Wuppertal 2020.

4. Tratto da Thought&Forms, n.1 Piante.

5. A.Lanzetta, Opaco Mediterraneo Modernità informale, Libria, Melfi 2016, p.26.

6. Intervista a Ponis realizzata a Palau il 20 marzo 2023.

7. Tratto da Thought&Forms.

8. A.Ponis, Storie di case e ambiente, Skira, Milano 2003, p.49.

9. Ivi, p.57.

10. A.Ponis, Storie di case e ambiente, Skira, Milano 2003, p.74.

11. Intervista a Ponis realizzata a Palau il 20 marzo 2023.

12. Intervista a Baj realizzata a Costa Paradiso il 22 luglio 2022.

13. Intervista a Ponis realizzata a Palau il 20 marzo 2023.

14. A.Ponis, Architettura in Sardegna, Skira, Milano 2006, p.104.

15. Abitare la Vacanza è un festival di architettura che si è svolto in Italia nel 2023. E’ un progetto di plug_in, U-BOOT-Lab, LandWorks, BACO Archivio Vittorio Giorgini, vincitore dell’avviso pubblico Festival Architettura II edizione, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Immagine di copertina: Alberto Ponis, Casa Ivan, Costa Paradiso, 1994, fotografia Emanuele Piccardo