Non saprei dire se, a dispetto dei tanti proclami e di alcuni inequivocabili segnali, la fruizione dell’ambiente alpino sia davvero molto cambiata rispetto allo scorso millennio. Di sicuro, se, come sembra, le tendenze saranno confermate, dovrà molto cambiare nell’immediato futuro. Infatti, la combinazione di due aspetti – i cambiamenti climatici e la congiuntura economica – faranno rivolgere gli occhi di un numero sempre maggiore di persone verso i territori montani – e, più genericamente, verso le aree interne – come potenziale luogo elettivo d’insediamento stabile. Tuttavia, il quesito è: come «abitare» tali luoghi? Per provare a rispondere, occorre fare qualche passo indietro.
Dal Playground of Europe alla «città che sale»
La «scoperta» delle Alpi da parte della popolazione non autoctona è un fenomeno piuttosto recente. Da circa da un paio di secoli, infatti, l’alta borghesia urbana europea ha rivolto la propria attenzione alle Alpi come spazio (geografico, socio-culturale ed economico) da conoscere e «mettere in valore». Leslie Stephen, fondatore del primo Club alpino (a Londra nel 1857) definiva le Alpi come il nuovo Playground of Europe. Il «gioco» riguardava, principalmente, la sfida posta dall’esplorazione dei monti: un territorio sostanzialmente vergine, che innescava interessi dapprima precipuamente scientifici e, in seguito, sempre più legati ad aspetti ricreativi, estetici o, per usare un termine attuale nella sua accezione allargata, anche se non del tutto propria, «sportivi».
Per soddisfare la domanda della crescente moda dell’alpinismo (che all’epoca riguarda le scalate estreme, ma anche il passeggio nel villaggio o i rituali del termalismo) s’inventa e si affina un’offerta turistica sempre più allargata, con l’indispensabile corollario delle infrastrutture di servizio. Parte così la febbrile corsa all’antropizzazione delle terre alte, ben restituita negli studi di Antonio De Rossi dal termine apprivoisement, addomesticazione. Un’azione potentissima, radicale e spesso brutale, di presa di possesso del territorio (si pensi prima alle ferrovie e alle strade panoramiche, poi alle funivie e infine alle opere idroelettriche), impostata secondo modalità prettamente urbane che, dai modelli insediativi ai sistemi economici, precludono il dialogo con le civiltà rurali del posto, marginalizzate e ridotte a puro cliché (si veda la straordinaria caricatura che, della Svizzera, tratteggia Alphonse Daudet nell’insuperato romanzo Tartarino sulle Alpi, del 1885).
Passerella sospesa sull’orrido di San Giulio a Pré-Saint-Didier (Aosta; anni dieci del Duemila): rigurgiti dell’apprivoisement della montagna
Gli esiti dell’impari «scontro di civiltà» tra il modello urbano, importato in quota secondo logiche di profitto, rapidità ed efficienza, e i fragili ecosistemi locali, sono, dopo il boom economico, sotto gli occhi di tutti. Da un lato, sfruttamento intensivo del territorio (dal fenomeno delle seconde case all’industria dello sci da discesa); dall’altro, la fuga verso la città e i suoi miraggi di facile prosperità da parte di quasi tutti coloro che non erano impegnati nel settore del turismo. È il cosiddetto Mondo dei vinti, descritto nelle analisi sociologiche di Nuto Revelli, o ritratto nelle sue forme di ostinata e disperata resistenza nelle indagini fotografiche di Gianfranco Bini.
Copertina del libro Lassù gli ultimi (prima edizione, 1972)
Prospettive oltre il turismo
Non di solo turismo può vivere la montagna. Certamente, non può vivere del turismo mordi e fuggi che nei week end assalta località di villeggiatura, impianti di risalita, rifugi e siti rinomati senza quasi lasciare traccia del suo passaggio sul territorio – se non in copiose emissioni di CO2. E non bastano neppure le incoraggianti e crescenti forme di turismo «lento», consapevole, esperienziale, che privilegiano geografie non scontate e che cercano di stabilire contatti meno effimeri con gli insider. Dal canto loro, gli operatori dovranno maggiormente diversificare le offerte, lavorando sulla de-stagionalizzazione dei flussi; tanto più, vista la crisi in cui versa lo sci da discesa, per i maggiori costi legati all’innevamento artificiale, a fronte dei drastici cambiamenti climatici. Nell’immaginario turistico, insomma, montagna e neve dovranno essere sempre meno sinonimi.
Ma la sfida cruciale riguarda la ricostituzione delle comunità. Una partita che si gioca innanzi tutto sul piano immateriale, ovvero nella capacità di ritrovare senso di appartenenza rispetto a un territorio, percepito come ecosistema fragile ma anche come valore aggiunto per le sue potenzialità, a partire da quelle ambientali. Alcuni coraggiosi giovani l’hanno capito, aprendo la stagione dei «ritornanti», forti però di una formazione d’eccellenza e di qualifiche specifiche, e supportati da servizi adeguati. Come nel caso ormai emblematico e noto del piccolo comune di Ostana (Cuneo); qui debbono infatti concentrarsi le progettualità: nel garantire a coloro che s’insediano stabilmente le condizioni per vivere e operare, quasi come se ci si trovasse in città.
A partire dal corretto sfruttamento delle risorse (su tutte, la gestione del patrimonio silvo-pastorale), e dall’applicazione di conoscenze aggiornate, occorre riattivare filiere di produzione in ambito agricolo, zootecnico, alimentare, edilizio, artigianale e manifatturiero alla piccola scala. In questo, il ruolo del tecnico-intellettuale si rivela fondamentale, nel saper intercettare necessità e opportunità, nel sapere progettare processi, ancor prima che nel saper redigere progetti d’eccellenza formale che, una volta consolidata una consapevole «cultura della committenza», verranno quasi di conseguenza.
Entro tale orizzonte di rinnovamento, fatto di cura e di rigenerazione di assetti territoriali (si pensi alla manutenzione straordinaria di boschi, pascoli, terrazzamenti, declivi e argini fluviali), e di ristrutturazioni edilizie, i progetti più interessanti saranno quelli «per via di levare» (si pensi alla riqualificazione d’infrastrutture abbandonate: turistiche, militari, viabilistiche, produttive).
Incoraggianti segni di rinascita si registrano, qua e là, lungo tutto l’arco alpino, ma ancora si tratta di episodi isolati. Il percorso è lungo e, ovviamente, faticoso. Un po’ come salire una montagna.
11.03.22
Immagine di copertina: “Die Jungfrau in der Zukunft”, cartolina umoristica (inizio Novecento)