Da anni faccio ritorno a Punta Sardegna, in quel momento fra le stagioni dove l’intensità della luce estiva sfuma in quella autunnale, trovando ospitalità nelle case di Alberto. Il tornare dona il tempo per osservare, per riflettere. Il suolo della passeggiata che unisce Cala Inglese allo Yacht Club è una superficie continua, appena ruvida, che colma lo spazio fra le rocce e gli avvallamenti, con radi e precisi inserti in granito a spacco ad aiutare con pochi gradini una salita o a disegnare un lembo di sentiero. Il sentiero minerale si fa strada tra i volumi tondeggianti dei massi in granito e tra gli sbuffi della macchia sarda, cambiando continuamente ampiezza, morfologia e distanza dalla costa. Queste impercettibili sapienti modulazioni donano un’esperienza di paesaggio dove l’immenso ed il minuscolo convivono, e si nutrono a vicenda. Riflettevo sulla generosità del riuscire a svelare la bellezza di un luogo, senza forzarne i tratti, ed immediatamente mi venivano in mente i rami tortuosi, i sassi e le radici raccolti sulle mensole dello studio di Alberto, i suoi ritratti d’inchiostro delle rocce ed i racconti delle sue passeggiate. La passeggiata ha l’indicibile bellezza di essere pensata con naturalezza e coralità. Arrivando allo Yacht Club si incontra un teatro, dove tante scene di vita possono accadere insieme senza disturbarsi: una barca che ormeggia, Ottavio sulla sedia che ascolta e guarda, le sue figlie che preparano tavola, un gabbiano sullo scoglio, un gatto sui gradini. Seduta sui cantoni del molo, ed osservando le lunghe linee curve bordate in granito sullo sfondo dei massi della costa, riflettevo sulla differenza di attitudine tra una estetica della natura, dove forme di piante conchiglie o paesaggi ispirano le forme dei progetti, quale riconosco in opere magistrali di Aalto e Utzon, ed una empatia culturale verso la natura, dove il progetto sembra nascere dall’osservare un paesaggio e dal costruire un dialogo con esso attraverso segni antropici, come in opere di Tavora, Asplund e Lewerentz. Lo Yacht Club sembra nascere dal paesaggio ed allo stesso tempo dà vita ad un altro paesaggio, tracciando segni che non mimano i tratti del contesto naturale ma lo svelano.

Alberto Ponis, Yacht Club, Punta Sardegna, 1965, fotografia Francesca Torzo

Questo senso di empatia, frutto di un dialogo profondo con i luoghi, è vivo anche nelle case che sembrano svelare una archeologia del paesaggio ed insieme inventano un teatro di polifonia domestica, dove gli spazi interni e quelli esterni collaborano ad una coreografia spaziale. Casa Bak inizia con una passeggiata, un brano di tempo per riscoprire i sassi, gli alberi, le salite e discese che erano già lì; quando si raggiunge l’ingresso appena celato dai massi, si scopre un mondo minuto che offre un riparo d’ombra, una pausa, prima di affacciarsi sulla sala da pranzo e la loggia aperte sul mare, e da lì ancora si intuiscono scale strette fra massi e gradini scavati che preludono ad altri spazi ancora. I muri della casa sono silenziosi, con rade precise aperture e puntuali ceselli, un piccolo “occhio” in ferro battuto o il profilo tondo di un coppo rovescio, che amplificano l’ampiezza della superficie intonacata di un rosato spento e ruvido, una superficie che sembra avere il ruolo di riverberare i colori delle rocce intorno e far riposare lo sguardo.

Alberto Ponis, Casa Bak, Punta Sardegna, 1968, fotografia Francesca Torzo

I muri sono lo sfondo che rivela le mobili ombre delle foglie mosse dal vento sui rami. Nelle ore trascorse nelle case osservavo come il suolo ridisegna la topografia esistente del luogo, portando con sé anche il ricordo di un paesaggio più ampio nel ritmo dei pochi gradini intervallati da superfici piane simile a quello dei passi lungo i sentieri nella macchia. Anche lo spazio fra i muri domestici, fra i muri ed i tronchi di corbezzolo o i massi tondeggianti, propone distanze familiari a quelle fra gli arbusti e rocce della macchia, echeggiando il contesto per misura e pluralità di prospettive. Riflettevo su come queste case siano una scrittura del paesaggio, dove esistente e nuovo intrecciano un dialogo di relazioni vive, non formali, quanto radicate in una profonda empatia per lo stratificarsi dei segni dell’uomo e della natura nel tempo.

Vi è sempre un soffio di aria gentile nelle case di Alberto, ed io continuo ad imparare.

Francesca Torzo

27.9.24

Immagine di copertina: Punta Sardegna, sentiero, fotografia Alberto Ponis, courtesy Archivio Ponis